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La storia di Kristian “Sono un perdente, ma sono felice…”

Il 37enne Laight, 262 sconfitte in 282 match. “In dodici minuti guadagno quanto molti prendono in un mese"

Journeyman, un’etichetta pesante da portare addosso.

Nella boxe la regalano a qualsiasi pugile ingaggiato a giornata, buono per un match e nulla più. Senza ambizioni, senza altro futuro che mettere assieme una sconfitta dopo l’altra.

Kristian Laight, più di tanti altri, ne ha fatto una professione al punto che lo chiamano Mr Reliable. Ovvero Signor Affidabilità. Così affidabile che ci puoi scommettere sopra, lui perde di sicuro. Ma lo fa da professionista e, soprattutto, non se ne vergogna.

Partito con uno sconfortante 0-10-0 da dilettante (dieci match, altrettante sconfitte), un giorno ha capito che il pugilato poteva essere più remunerativo del lavoro che faceva.

“Avevo ventitrè anni, un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio di 120/130 sterline a settimana. Passato professionista ho cominciato a incassare 500/600 sterline ogni sette giorni. Mi sembrava di sognare.”

Con quei soldi ha comprato casa, ha tenuto in piedi la famiglia (ha un figlio) e ha messo da parte qualcosa per il domani.

Kristian Laight combatte spesso, finora ha messo in piedi un record di 12-262-8. Ventinove match nel 2012 e 2013 con uno score complessivo di 1-56-2, venticinque incontri quest’anno. L’ultimo il 16 dicembre scorso, sconfitta ai punti contro Andrew Fleming. Ha perso in 4 round, perché lui è uno che si misura quasi sempre su quella distanza: l’ha già fatto 189 volte.

Non gli piacciono i commenti che spesso sente su di lui.

“A nessuno piace sentirsi dire che è una merda. Ho un ruolo in questo sport” ha confessato alla BBC.

Se vi chiedete quale sia questo ruolo, Kristian Laight ha una risposta anche per voi.

“Salgo sul ring e mi prendo cura della mia persona. Nel primo round cerco di scoprire come potrebbe finire il match. Se capisco che l’altro è troppo superiore, punto tutto sulla difesa. Non devo prendere colpi, non devo rischiare. Se vedo una possibilità di vittoria, ci provo sino alla fine. Sempre e comunque faccio il mio lavoro. Combatto e punto a sentire il gong finale, possibilmente senza avere subito danni. Prendo i soldi, torno a casa e la mattina dopo vado ad allenarmi, perché so che dovrò combattere anche la settimana seguente. Per dodici minuti di lavoro guadagno quello che molti prendono in un mese.”

Ha messo a segno un paio di colpi a sorpresa.

Il 29 maggio del 2010 ha sconfitto Craig Whyatt (5-0) a cui molti tecnici avevano pronosticato un futuro da campione.

L’1 agosto del 2015 ha battuto Carl Chadwick (2-0) che sembrava incamminato verso un cammino diverso.

Prima e dopo ci sono state sempre e comunque 262 sconfitte.

“Un journeyman è pronto ad affrontare qualsiasi avversario in qualsiasi momento. Entro in un pub, ordino una birra, squilla il telefono. È il mio manager che mi ricorda che la sera dopo devo combattere. “Torna a casa e mettiti a letto, esci da quel pub” mi dice e attacca. Ha ragione lui, per continuare a guadagnare devo essere sempre pronto.”

Kristian Laight ha 37 anni, mancino, superleggero alto 1.78. Professionista dal 2003, è nato e vive a Nuneaton, Warwickshire, Inghilterra. Sale sul ring ogni sette giorni, o quasi.

Il suo sogno non è vincere il titolo, ma superare Peter Buckley e i suoi 300 match prima del ritiro. Può farcela, ma sicuramente non riuscirà mai a raggiungere le 32 vittorie del leader dei journeyman.

Non so se tutto questo sia giusto, prendere pugni per 1316 round (sono quelli disputati finora dal nostro uomo) non fa certamente bene alla salute. Di certo il suo è un lavoro usurante, anche per questo ha deciso che si ritirerà il giorno del quarantesimo compleanno. Punizioni ne ha prese poche (solo cinque sconfitte prima del limite), ma non può certo bastare questo dato a tranquillizzare.

Kristian Laight fa il pugile professionista, prende più cazzotti di quanti ne dia. Perde quasi sempre. Con i soldi delle borse vive, e neppure male. Ma quanto pagherà tutto questo?

Non so rispondere, non lo conosco. Le sue parole hanno un senso, ma non sono riuscite a convincermi. Ho letto, visto, analizzato numeri e rivali. Alla fine so molto di più sul pugile, assai poco sull’uomo.

Ma ho avuto la conferma di quello che in fondo già sapevo, fare il journeyman professionista è un lavoro dannatamente duro.

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