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La fila degli assassini neri (The Black Murderers row)

Lloyd Marshall, Cocoa Kid, Eddie Booker e altri re senza corona

 

 

THE BLACK MURDERERS ROW, tratto dal libro "I re senza corona" di Vittorio Parisi. Edizioni Bradipolibri

“The Murderes Row”, o in italiano “La fila degli assassini” è una espressione che fu coniata per la squadra di baseball di New York, gli Yankees, nel 1927. Di quella squadra facevano parte giocatori divenuti mitici come Babe Roth e Lou Gehrig. “The black murderes row” o “La fila degli assasini neri” è invece una espressione riadattata dallo scrittore Budd Schulberg, colui che scrisse “Il colosso d’argilla” e “Fronte del porto” e che frequentò e raccontò il pugilato per tutta la sua lunghissima vita. Nel baseball non c’era nel 1927 nessun giocatore nero e fu Jackie Robinson a rompere per primo la barriera del colore negli anni 40, mentre con l’aggiunta della parola “black” Schulberg volle indicare un gruppo di 6, poi aumentati a 10, pugili neri a cui non fu mai concesso di battersi per un titolo mondiale nonostante, o forse per, la loro straordinaria bravura. Questi pugili furono costretti ad affrontarsi molte volte fra di loro in mancanza di meglio e battersi per titoli minori, spesso solo nominali o confinati alla loro razza. Poteva capitare che fra chi li evitasse vi fossero anche pugili neri come è il  caso di Ray Robinson e fra di loro vi fu chi si adattò più o meno bene, e anche più o meno onestamente, alla condizione cui furono costretti. Stiamo parlando di pugili che furono attivi dagli anni 30 all’inizio degli anni 50, un periodo non solo gravato dal peso della II guerra mondiale ma anche dalla sempre maggiore importanza della mafia nella boxe fino a giungere al nefasto monopolio della IBC di James Dougan Norris e dei suoi sodali Frankie Carbo e Blinky Palermo. Un periodo in cui anche qualche pugile nero è stato campione del mondo, magari dopo anni e anni di attesa. E dopo qualche favore fatto a chi di dovere, perché La Motta, pur bianco, non fu certo il solo a vendersi.

Di tre di questi campioni ho già parlato perché si chiamavano Charley Burley Jimmy Bivins e Holman Williams, gli altri furono Lloyd Marshall, Cocoa Kid, Jack Chase, Bert Lytell, Eddie Booker, Aaron Wade, Elmer Ray. Su ognuno di loro servirebbe una biografia per non farli scomparire nell’oblio e non basteranno certo queste poche righe per rendere loro giustizia.

Marshall Llyod mediomassimo

Ho visto il filmato del match fra un Lloyd Marshall (1914-1997) già vecchio e l’inglese Freddie Mills, orgoglio della boxe britannica che sarebbe diventato campione del mondo dei mediomassimi l’anno dopo. Il match è del 1947 ed è impressionante. Marshall era convinto di dover lasciare il passo all’eroe locale, ma quando capì che gli inglesi volevano un match vero questo nero dallo sguardo triste combinò il disastro. Le mani spesso basse, movimenti minimi ed essenziali e mani pesantissime, ogni volta che Marshall arrivava a segno Mills era come percorso da una scarica elettrica. Andò quattro volte al tappeto e perse per K.O. al 5° round. Eppure fu Mills a diventare campione del mondo. Marshall ci aveva ormai comunque rinunciato da tempo, aveva viaggiato tanto da quando aveva lasciato la sua Georgia e sapeva come andava il mondo. Con la boxe mangiava e se c’era da vincere bene, se invece c’era da perdere bene lo stesso, bastava saperlo prima. Ma cosa pensare della vittoria e del pestaggio rifilati a Jake La Motta (e c’erano meno di due libbre di differenza) e della vittoria su un pur troppo più leggero Charley Burley? La lista dei campioni del mondo che Marshall battè è lunga ma il suo capolavoro fu la vittoria del 1943 sul grande Ezzard Charles per K.O.T all’8° round. Marshall lo mise al tappeto 8 volte in 8 round senza perdere un minuto del match fino a quando l’arbitro disse basta. Lloyd Marshall è diventato membro della IBHOF nel 2010.

La storia di Cocoa Kid (1914-1966) è particolare perché da dove sia apparso questo pugile rimane un po’ un mistero e la ricostruzione che raccoglie maggior credito non è poi del tutto sicura. Non era anormale negli anni 30 che un pugile combattesse sotto diversi nomi per scopi non tutti commendevoli e il mistero su chi fosse in realtà Cocoa Kid deriva proprio da questo fatto. Alcuni sostenevano fosse il cubano Juan Cepero, un peso leggero che era venuto negli Stati Uniti dall’isola caraibica assieme al grande Kid Chocolate (alias Eligio Sardinas) alla fine degli anni 20. Una volta rispedito a Cuba Kid Chocolate per problemi di visto, Juan Cepero sarebbe rimasto negli Stati Uniti prendendo il nome Cocoa Kid proprio in onore, viva la fantasia, dell’amico Chocolate. A riprova di questo fatto una certa somiglianza fisica e qualche testimonianza che afferma che Cocoa Kid  fosse un cubano ma la versione più accreditata parla invece di un pugile arrivato da Portorico con il nome Lou Hardwick che si sarebbe poi a sua volta cambiato il nome. Le ragioni non sono note mentre appare strano che un portoricano di cognome si chiamasse Hardwick, pur se figlio di un afro-americano e di una portoricana,  mentre lo stesso Cocoa Kid ha complicato la situazione asserendo di aver usato diversi nomi negli Stati Uniti, né ha potuto fornire molti chiarimenti nel dopo carriera essendo affetto dalla sindrome conosciuta come dementia pugilistica. Prescindendo da questa intricata questione, Cocoa Kid era un gran pugile attentamente tenuto alla larga dai titoli mondiali dai pesi welter in su e costretto ad affrontare più volte avversari spesso emarginati come lui. Affrontò per esempio 13 volte Holman Williams battendolo in ben 8 occasioni ma, come Marshall, finì per adeguarsi ai tempi e non sempre diede, consapevolmente, il meglio di sé finendo in una occasione per essere scoperto, squalificato e multato. Di lui si racconta che, smesso di combattere, abbia fatto lo sparring partner di Robinson venendo cacciato dopo averlo messo al tappeto. Leggenda o no che fosse i meriti di Cocoa Kid sono stati riconosciuti nel 2012 con l’elezione nella IBHOF.

Un altro con una storia misteriosa era il peso medio mancino Bert Lytell (1924-1990), detto Chocolate Kid,  apparso improvvisamente sulla costa californiana nel 1944 e altrettanto improvvisamente scomparso dalla scena nel 1951 all’età di 27 anni, età presunta perché appunto non ci sono certezze su dove e quando fosse nato. Lytell, pugile dotato di tecnica di livello superiore ed estremamente difficile da battere nelle migliori serate ma con potenza limitata, ha combattuto quasi esclusivamente contro pugili neri come lui, spesso anche più pesanti. Una delle rarissime eccezioni fu Jake La Motta, fortunato a strappare una split decision a Boston nel 1945, il quale si rifiutò di prendere in considerazione l’idea della rivincita. Lytell era sufficientemente talentato da battere Charley Burley nella rivincita di un match perduto e più volte gli stessi Holman Williams e Cocoa Kid prima di finire a fare lo sparring partner di un Randy Turpin che invece era campione del mondo e probabilmente non lo valeva.

Jack Chase (1914-1972), peso medio, veniva invece dal Texas ma si spostò presto in California. Pugile di classe, abilissimo in difesa e dalla grande velocità di braccia e piedi, Chase aveva purtroppo avuto a che fare con la legge fin da giovanissimo. All’inizio combatteva con il nome di Young Joe Louis e fra il 1937 e il 1941 è stato fermo perché ospite di una prigione americana per tentata rapina e aggressione a un poliziotto e in seguito ferì con un colpo di pistola il collega Aaron Wade anche se entrambi sostennero che il colpo fosse partito accidentalmente Jack Chase fu anche abbastanza sfortunato da veder morire il rivale Roy Jack Gillespie 4 giorni dopo un match contro di lui. Attivo dal 1936 al 1948 fu capace di battere Archie Moore e Lloyd Marshall ma anche per lui mancò l’appuntamento più importante.

Un altro grandissimo fu lo sfortunato Eddie Booker(1917-1975), che come Chase si spostò presto dal Texas alla California. Pugile di gran classe, ma anche dotato di un notevole pugno, perse solo 5 volte in 79 incontri e mai prima del limite. Abilissimo in difesa e talmente rapido nel portare colpi da vicino che solo a bordo ring si potevano vedere, era un grande colpitore al corpo. Anch’egli confinato a incontrare quasi solo fratelli neri, incontrò tre volte Archie Moore prima pareggiandoci due volte e poi battendolo prima del limite la terza. Vincitore di pugili come Holman Williams, Lloyd Marshall, Harry Matthews e Izzy Jannazzo, Booker ebbe la terribile sfortuna di imbattersi in un drammatico “incidente sul lavoro”. Secondo sua figlia si ritrovò contro un rivale che aveva truccato i guantoni e non è chiaro se ciò avvenne in un un match con Archie Moore o, conoscendo i soggetti, più probabilmente contro Jack Chase. Sottoposto a una operazione a un occhio dopo il match con Chase a inizio del 1943, Booker era stato informato che la situazione non fosse buona per la sua vista. Preoccupato di assicurare un avvenire alla sua famiglia e sfruttando il fatto che le Commissioni statali allora non andavano certo tanto per il sottile, Booker combattè ancora 7 volte dall’agosto 1943 al marzo 1944 e in questo periodo battè Archie Moore e nell’ultimo match Holman Williams. Ormai aveva perso la vista da un occhio e a 27 anni si ritirò. Uomo integerrimo e mai sospettato di combine, Booker pagò forse a caro prezzo questa sua integrità morale.

Non c’è alcun dubbio che Archie Moore sia stato uno dei più grandi, e longevi, pugili della storia. Arrivò molto tardi a quello che avrebbe meritato prima e solo perché trovò il manager sufficientemente ammanicato e qualcuno dice anche perché qualche favore in passato lo avesse fatto. Eppure vedete quanti pugili di questa lista lo abbiano battuto e fra di loro c’è anche Aaron Wade (1916-1985), detto “La Tigre”, un peso medio di San Francisco dal fisico muscoloso e dalle buone qualità di colpitore. Vincitore di pugili come Bert Lytell, Cocoa Kid e appunto Archie Moore, abbiamo visto già come avesse avuto un problema fuori dal ring con Jack Chase ma con lui li ebbe pure sul ring. La sua storia pugilistica è emblematica soprattutto per come si è conclusa. Ritiratosi da oltre due anni ebbe nel 1950 la possibilità di incontrare Ray Sugar Robinson pur senza titolo in palio. Wade ebbe a 34 anni l’opportunità che i suoi colleghi della Black Murderers Row tanto rincorsero senza successo: un match con quello che era considerato il migliore ed era nero come loro. Ma era ovviamente troppo tardi e ciò dimostra come Robinson sapesse benissimo a che gioco giocasse.. Wade perse per K.O. al 3° round.

Non era un pugile straordinario come molti di quelli che lo precedono in questo capitolo il peso massimo Elmer Ray della Florida, un altro che ha combattuto a lungo in California negli anni della guerra. Ma se lo chiamavano “Violent” un motivo c’era ed è che fu uno dei più spaventosi picchiatori della storia. Si dice che Ray, non un modello di agilità e tecnica, fosse stato letteralmente ridicolizzato in allenamento in California da un Charley Burley che pesava decine di chili meno di lui e se ne fosse andato infuriato dal ring ma ciononostante arrivò vicinissimo a una sfida con un Joe Louis ormai vecchio e un po’ bolso, a inizio 1947. Ray era infatti reduce da una vittoria ai danni di Jersey Joe Walcott che gli era valsa la prima posizione in classifica dietro al campione del mondo. Ma allora non era così facile per nessuno che non fosse molto ammanicato arrivare un match di campionato e Walcott ammanicato lo era e lui no. Costretto a un terzo match con Walcott (che lo aveva sconfitto nel loro primo incontro) lo perse con una decisione solo a maggioranza. Ebbe quindi la soddisfazione solo di battere in seguito Ezzard Charles che lassù invece ci sarebbe arrivato.

Questa era la boxe di allora signori. E ora ci si può solo domandare quanti dei pugili della Black Murderers Row sarebbero diventati campioni del mondo se solo ne avessero avuto l’opportunità.

 

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