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"Lugaru", l'uomo-lupo e la boxe secondo Valeria Imbrogno, pugile e psicologa

Licantropo

Tornata dalla mia esperienza ad Haiti ho scoperto cosa fosse il Lugaru nella cultura vodoo: l’uomo-lupo! E’ il nostro lupo mannaro, citato fin dall’antichità da alcuni filosofi e scrittori che appartengono alla nostra cultura. Plinio, per esempio, raccontava di una vicenda successa in Arcadia durante un sacrificio a Giove: un certo Demmeneto di Parisia mangiò la carne di un ragazzo immolato, che si mutò in lupo e dopo nove anni riuscì a riacquisire le sembianze umane,vincendo addirittura nel pugilato ad Olimpia.

L’interazione tra l’uomo e l’animale è sempre stata centrale nei racconti del passato. Ed è cos’ che si sono poi definite le caratteristiche, le differenze e le similitudini dell’uno e dell’altro: gli animali vengono considerati esseri guidati interamente dai loro istinti, mentre l’uomo ha la possibilità di liberarsene seguendo unicamente il proprio intelletto.

Lo stesso Hobbes, con la frase “homo homini lupus”, sottolineava l’aspetto egoistico, istintivo e animalesco della natura umana: a determinare le azioni dell’uomo, secondo il filosofo inglese, sono soltanto l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Nello stato di natura ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei propri desideri. Proprio come i lupi.

Ma cosa intendiamo con la parola “istinto” nel linguaggio quotidiano? A mio avviso, qualsiasi comportamento che non sia cosciente. La nozione di istinto è in realtà molto difficile da definire se non attraverso una serie di bisogni primari: la sopravvivenza, la sicurezza, la procreazione.

È consuetudine dire che il pugilato è uno sport istintivo. Non a caso nelle diciture che appartengono al nostro sport vediamo spesso la scritta “VS” o “Versus” che hanno come significato “contro”. L’aspetto istintivo del pugilato potrebbe essere descritto come una percezione inconscia, paragonando il pugile che osserva il suo avversario ad un animale che “sente” la sua preda.

E’ senza dubbio uno sport basato sulle sinergie fisiche di aggressività e sugli automatismi mentali istintivi /intuitivi, entrambi sorgenti che il pugile sfrutta volontariamente. Ed è vero anche che l’istinto di sopravvivenza è quello che ci preserva durante il combattimento.

Sapppiamo però che il pugile non è solo interamente istinto, ma un insieme di tecniche e riflessi sviluppati nel corso degli allenamenti in funzione della prestazione sportiva.

Dunque, pur conservando dei retaggi istintuali, è un’attività umana molto elaborata, volontaria e organizzata. Appresa secondo delle precise regole. Se non fosse così non si comprenderebbe come il pugile possa combattere e contemporaneamente ascoltare l’angolo, fermarsi immediatamente per

ordine dell’arbitro o sentire il gong. In qualsiasi momento infatti il pugile sa perfettamente in quale situazione si trova.

Nonostante le evidenti analogie tra natura umana e animale, è difficile trovare oggi nell’uomo espressioni spontanee della sua natura istintiva. Le strutture dei comportamenti umani sono infatti soprattutto culturali, vale a dire acquisiti attraverso l’evoluzione dell’umanità e trasmessa attraverso l’educazione.

Credo che decidere di diventare un pugile sia prima di tutto una scelta cosciente: l’azione stessa del pugile ha una volontà intrinseca di arrivare alla conclusione del match, alla fine dello scontro, rendendolo umano nella scelta stessa e conservando così una certa idea di vita , piuttosto che seguire un istinto animale di sopravvivenza. Ma da pugile posso confermare che è lì, proprio sul ring, che riusciamo a sentire la parte più istintiva di ognuno di noi.

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