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Rigondeaux-Lomachenko fa riflettere perché la boxe non é solo boxe...

Vichinghi

A chi è stato un grande non si perdona mai una fine banale.

E maggiore è stata la grandezza, più alte sono le aspettative di chi ha osannato per anni il proprio idolo. In queste ore, è diventato di ciò il simbolo Guillermo “El Chacal” Rigondeaux. Quando a bordo ring e in ogni angolo del mondo gli appassionati fremono per l’ennesimo “match del secolo”, ci si può attendere da loro partecipazione, condivisione, gioia e dolore. Ma non bontà a poco prezzo…Il “vecchio” fuoriclasse, in questo caso il cubano come in passato tanti altri “mostri” sacri della Noble Art, può anche perdere di fronte al formidabile e giovane rivale che al Madison Square Garden aveva le sembianze di Vasyl Lomachenko, ma lo deve fare in modo “grandioso” e allontanarsi splendendo, come le fiamme del rogo che avvolgevano un tempo il guerriero valoroso, mentre gli astanti gridavano per l’ultima volta il suo nome, affidandolo per sempre alla laggenda.

I pugili e coloro che li amano sono tutte persone, chi più-chi meno, fuori della normalità. Con il cuore offrono tantissimo, ma al cuore richiedono tantissimo.

L’ultimo atto di un mito può essere tramandato ai posteri, alle parole di coloro di coloro che ne parleranno tra tanti anni, solo dipinto con gli sgargianti colori del vittoria o con i colori egualmente sgargianti della gloriosa sconfitta. Non c’è alternativa a ciò, se non lo sgretolamento di un’immagine che sembrava calda come un raggio di sole e solida come una spada d’acciaio.

Quando il proprio “eroe” diventa semplicemente “uomo”, ci si sente disorientati, traditi, mutilati nei propri sogni e nelle proprie illusioni.

Vincere o perdere “alla grande” è il privilegio e la maledizione di un “grande”.

Il timore verso l’avversario, la disperata ricerca della “non-battaglia”, l’oblio della magnificenza di un tempo, gli occhi bassi di chi ha ceduto ancora prima che tutto sia finito, la resa ad un dolore forse vero, forse simulato…Tutto troppo “normale”. La gente proietta quasi sempre nei campioni dello sport ciò che avrebbe voluto essere e non è: forza, coraggio, resistenza al male fisico e interiore, disponibilità a dare ogni grammo di sé stesso per raggiungere il traguardo. Per questo non perdona! Non sopporta di vedere che anche colui sul quale si erano riversati anche un po’ dei propri ideali esistenziali è fragile, incerto, timoroso…

Il campione non appartiene solo a se stesso, ma anche al prossimo e se da una falla del proprio spirito irrompe la banalità, naufraga non da solo ma insieme a coloro che lo amano e dei quali ha rappresentato un modello.

Noi, comuni mortali, siamo tanto buoni da salire metaforicamente in paradiso o scendere all’inferno con chi abbiamo posto sul piedistallo, ma siamo pure così crudeli da non sopportare che, appunto come i comuni mortali, "lui" ceda senza lottare.

Ancora una volta dal pugilato un’occasione per riflettere.

Ancora una volta la prova che non abbiamo sbagliato ad amare lo sport-non solo-sport.

https://gualtierobecchetti.wordpress.com/   

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