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All'angolo neutro con Glauco Cappella: le stupende storie di boxe...

AutoPiena

Dovevamo andare a combattere in Puglia ed eravamouna squadra di cinque persone, compreso il maestro. Ovviamente il viaggio lo facemmo in macchina, la macchina del maestro, non qualche pulmino sponsorizzato, ragazzi!...Qui parliamo di Boxe e non di Pallavolo, né di Basket, né tantomeno (quasi mi vengono i brividi a nominarlo) di Calcio.

Per affrontare questi abbondantissimi cinquecento e rotti chilometri, i posti in macchina vennero assegnati in base ad una mera e sterile caratteristica fisica: l’altezza.

Questa condizione non faceva altro che agevolare il più alto, che sedeva nel posto davanti accanto al maestro,  e danneggiare il più basso, a cui toccava sedere dietro al centro, dove non c’è un vero e proprio posto e lo spazio per i piedi è occupato dal sistema di areazione della macchina. Quindi, il povero “unto dal Signore” non ha lo schienale per appoggiare comodamente la schiena e nemmeno dove poggiare i piedi.

Secondo voi, a quale dei quattro è toccato questo privilegio?

Si, a me.

Durante il viaggio poi il tempo doveva pur passare in qualche e in queste condizioni un po’ disagiate e scarsamente comode, vengono sempre fuori argomenti interessanti. In pratica, il maestro ci ha narrato che gli era stato raccontata l'avventura, quand’era ancora pugile, di un atleta che doveva combattere in terra straniera e aveva fatto il viaggio “ammassato” in treno. Era stato tremendamente scomodo e all’arrivo le sue gambe non erano brillanti come avrebbe voluto e con il passare del tempo la situazione non migliorava. Il pugile iniziava a sconfortarsi e quasi stava pensando di dare forfait. Ma il caso volle che in quel paese straniero ci fosse una comunità italiana, la quale faceva il tifo per lui e lo considerava un po’ il suo beniamino. Il maestro provò a farlo tornare in sé, ma il ragazzo era deciso a non combattere, ormai. Così, l’allenatore disperato lo lasciò in albergo e andò a farsi un giro tra gli italiani che vivevano lì, cercando di convincerli ad aiutarlo a far tornare in sé il ragazzo. Dopo poco tempo, con la scusa di una passeggiata, il maestro portò il pugile in mezzo ai nostri emigrati e quelli, vedendolo, iniziarono a dire: «Che fortuna che hai avuto a fare il viaggio in treno!». Lui guardava il maestro incredulo…«Forza, che domani farai un gran match!». Era confuso…«Non lo sai che le vibrazioni del treno ti massaggiano le gambe? Domani vedrai come farai volare i piedi!»…

Intanto continuavano a camminare e pian piano lui si sentiva meglio o almeno lo credeva!

«Maestro-gli disse-Lo sai che già mi sento meglio? Credo che domani combatterò!». Il giorno dopo vinse l’incontro e, se non ricordo male, addirittura per ko!

Quanto può essere potente la mente per uno atleta?

Ovviamente, ci furono altre storie durante quel viaggio.

Venne fuori anche che si diventa pugili solo dopo il trentesimo match.

«Ma perché?», chiese qualcuno. «Perché chi è arrivato a trenta match ha superato molte fasi-Rispose il maestro-Ha saputo che cosa vuol dire vincere e perdere, ha conosciuto l’euforia dei momenti belli e lo sconforto di quelli brutti». Il discorso s’infittiva… «Ha avuto voglia di smettere forse e l’ha superata, ha incontrato pugili che gli hanno fatto male e altri a cui lui ha fatto male; ha incontrato gente più veloce di lui e gente più lenta e dopo tutto questo, lui è ancora lì».

Ovviamente il “trenta” è solo un numero orientativo, ma il concetto è estremamente efficace. Quando si supera la fase in cui tutto è nuovo e tutto è “assoluto” e si continua a fare attività, la propria visione della boxe diventa via-via più completa, più profonda. Chi si trova davanti un avversario del genere, non deve mai stare tranquillo perché ha di fronte a sé un uomo che non si farà impressionare da un gioco di gambe o da una trattenuta scorretta.

Il discorso fu così efficace che un ragazzo, in trasferta insieme a noi anche se proveniva da un’altra palestra, proprio quel giorno fece il suo trentesimo match e quando tornò dal proprio maestro, gli disse: «Da oggi sono anch’io un pugile!».

Il suo maestro, che ovviamente non poteva sapere il motivo di quella frase, gli rispose: «Ma perché? Fino ad oggi cos’eri?».

Il ragazzo però insistette così tanto che, alla fine, il suo maestro telefonò al nostro per chiedergli spiegazioni.

Ancora oggi ridiamo.

E tu, quante favole hai sentito sulla boxe?

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