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Il pugile e il momento della verità

PugilePiangente

Esattamente cinque anni fa, in una torrida nottata balneare, mentre non riuscivo a prendere sonno cercai sollievo mettendomi a scrivere, come spesso mi capita. Il modo migliore per rilassarmi e pensare a cose diverse da quelle a cui in quel momento non voglio pensare...Ne uscì questo pensiero, dedicato ai tantissimi che hanno affrontato il difficile appuntamento con la sconfitta. E talvolta, proprio in tale circostanza, hanno capito di essere e pugili e uomini.

Lo ripropongo, con la complicità della calura e delle zanzare...

Gualtiero Becchetti

 

Consolare. Una semplice parola densa d’umanità, la cui origine latina (cum solari) significava “stare insieme a chi è solo”. Il dolore, infatti, non svanisce ma trova motivo di lenimento nelle parole o nella mano sulla spalla di chi ti sta accanto e ha la sensibilità e la forza di soffrire con te (cum pati…da cui compassione). In ogni passo della vita abbiamo di fianco, invisibile o manifesta, la sofferenza, per cui purtroppo sappiamo bene di cosa si sta parlando. Ma ora è di sport, di pugilato che qui si scrive e pertanto il ragionamento sembrerebbe esagerato, quasi inopportuno dinanzi alle tante tragedie delle quali siamo testimoni.

Non è così.

Il dolore è diverso da persona a persona e colpisce subdolamente le nostre parti più fragili, come se ci conoscesse a memoria e sapesse perfettamente come procurarci il male maggiore. E’ per questo che quanto può essere banale per uno è invece insopportabile per un altro. L’insuccesso scolastico, il dileggio, la delusione amorosa, l’arroganza di un superiore e mille altre vicende vissute con relativa leggerezza da un individuo, possono rappresentare nella mente altrui il fondo di un pozzo oscuro, il labirinto senza uscita, la fine dei sogni e delle speranze, per cui la vita stessa rischia di diventare insopportabile.

Chi riversa su uno sport profonde aspirazioni (e la boxe è una disciplina particolare, che richiede sin dall’inizio motivazioni fortissime), tali da dedicargli una gran parte della propria adolescenza e giovinezza, fa talvolta conoscenza con la sconfitta e con la disperazione nel medesimo istante e ciò vale dal più basso gradino, su-su, sino ai vertici mondiali. Ogni evento è proporzionato a chi lo vive e la modesta finale di un torneo di paese vale, nel cuore del ragazzino alle prime armi, quanto la corona mondiale dei campioni affermati.

Così come mi è capitato tante volte da insegnante nelle aule, nei corridoi e nei cortili scolastici, pure dopo un match ho intuito, negli occhi dello sconfitto abbandonato su una panca dello spogliatoio, la solitudine e il silenzioso male di chi ha appena visto crollare tutto attorno a sé. Il pomo d’Adamo che sale e scende per respingere le lacrime, le mandibole serrate come una tagliola per bloccare il dolore, l’urlo trattenuto in gola…e nessuno intorno. Tutti sono altrove. Alla corte del vincitore di un’avventura per lui finita bene (i cui effetti saranno comunque fuggevoli) e già pronti a passare alla corte di colui che domani sarà il prossimo vincitore. E le parole false e ipocrite, gli insulsi e inutili sorrisi di chi s’imbatte per caso nel perdente e che, nella loro squallida banalità, invece di confortare dimostrano ancor più quanto poco importi di lui.

Poi, qualcuno quasi in punta di piedi come se volesse rispettare la solenne nobiltà della sconfitta s’avvicina; si siede accanto al ragazzo con gli occhi bassi o gli accarezza quasi furtivamente la testa…Non apre bocca, ma è come se dicesse: “Io ci sono, come ieri e come domani, perché ti voglio bene nella vittoria e nella sconfitta”. Talvolta ne arriva qualche altro, a formare la sparuta pattuglia di chi sa “cum solari”, stare insieme a chi è solo; di chi sa “cum pati”, soffrire con chi soffre. Pochi, sono sempre pochi i forti capaci di non abbandonare colui che è stato battuto sul ring o nella vita.

E’ la prova decisiva. E’ il momento fatidico in cui spesso il fuoco si spegne o si trasforma in incendio. Perdere è un po’ morire, è l’attimo fatale della verità. O riesci a scavare dentro di te l’impossibile per trovare lo scrigno segreto delle risorse morali, fisiche e intellettiuali o hai perso per sempre. E ciò vale sul ring come nelle alterne vicende dell’esistenza quotidiana. Vincere è difficile, ma mai quanto perdere.

E’ proprio lì, su quella panca bagnata di sudore e di qualche lacrima che talvolta nasce il pugile “vero”, quello che forse potrebbe diventare un campione. Egli germoglia dalla sconfitta, dalla resa di una sera che per incanto assume il profumo di rivincita. Quando si mette sulla spalla la sacca per lasciare da vinto il campo di battaglia, il pugile si guarda dentro e attorno; sente una “vocina” ricordargli che domani si ricomincia; inchioda nella memoria i volti e i nomi di coloro che non l’hanno abbandonato e forse capisce per la prima volta d’essere appunto un pugile.
Accada poi quel che accada. Ne sarà orgoglioso sino all’ultimo dei suoi giorni.

 

https://gualtierobecchetti.wordpress.com/

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