logo facebook

SEGUICI SU FACEBOOK

Bordo Ring

Trentacinque anni fa (alle 3:45 della mattina...) il capolavoro di Rosi

Schermata 2023 01 05 alle 17.44.29 copia

 

di Dario Torromeo

Genova, 2 gennaio 1988

Gianfranco misura la hall dell’albergo percorrendola a lunghi passi. Sorride, scambia due parole con gli amici. Poi esce e si incammina lentamente nella pancia di una città disincantata, reduce dalle feste per il nuovo anno appena iniziato.
Lui ha trascorso il Natale in palestra. A Capodanno si è concesso uno sfizio, un piatto di lenticchie.
«Ma solo perché sono una promessa di soldi in arrivo».
Festa in casa. Lui, la moglie Patrizia, e il dottor Lamberto Boranga. Il suo medico.
Insalata e lenticchie. Poi, stop.
«Un sorso di vino l’avrai bevuto?».
«Sono sparite tre bottiglie di champagne e io non ne ho mandato giù neppure un goccio. Miracoli della notte di Capodanno…».
Il mondiale vale qualsiasi sacrificio.
Stavolta in palio c’è il futuro.
Saranno le 03:00 della notte tra il 3 e il 4 gennaio quando Rosi e Duane Thomas saliranno sul ring. Le 21:00 del giorno prima negli Stati Uniti. La ESPN è la televisione che ha dettato i tempi.
Fuori programma sarà quello che accadrà attorno alle 02:30, dopo il match tra don Curry e Lupe Aquino, prima del mondiale.
L’ha annunciato l’altra sera Bob Arum.
«Il papa americano, Frank Sinatra, ha detto al mondo che nessuno cucina le trenette al pesto come Zeffirino.Vorrei avere una conferma» detto, fatto.
Venti chili di pasta e cinquanta mazzetti di basilico per il piatto che the Voice ha definito favoloso. Sarà servito per duecento persone a bordo ring.
Rosi è tranquillo. E questo lo rende nervoso.
Non avverte la consueta tensione che precede un  match importante. Non vuole rischiare di perdere la concentrazione.
«L’eccesso di sicurezza ti porta a sbagliare. È per questo motivo che sto cercando qualcosa che riesca a farmi innervosire».
Dovrà affogare lo sfidante, impedirgli di ragionare, imporre il suo ritmo. Colpi tirati in rapida successione e improvvise e repentine schivate. Il jab sinistro di Thomas è veloce, il destro fa male.
Contrastare il pugilato del campione è difficile. Ha una boxe intelligente, nella quale però non sono ammessi errori. È proibito commettere anche il minimo sbaglio.
«Lui è un opportunista. Non dovrò farlo ragionare, dovrò tenerlo costantemente sotto pressione. Ha un pugilato più europeo che americano. Verrà comunque subito dentro per imporre il suo stile. Sì, l’ho visto bene, ha le sopracciglia segnate. Forse è caduto da bambino…».
Un cappuccino e due brioche. Comincia così la giornata della vigilia per Gianfranco. Non ha problemi di peso.
«I pensieri, quelli veri, me li regala mia moglie. Spende soldi in continuazione».
Duane Thomas parla poco, quando lo fa segue un copione già sentito.
«Vincerò, non ho alcun dubbio. Peccato per Rosi, ha avuto poco tempo per godersi la corona. Ho sconvolto il mondo ribaltando il pronostico contro Mugabi, poi ho sbagliato e ho perso contro Aquino. Non ho più tempo per altri errori. Il destino del pugile italiano è segnato».

Genova, 3 gennaio 1988
Le operazioni di peso sono fissate per le 11 del mattino. Il match è alle 3 della notte, me le sarei aspettate attorno alle 15:00.

Mancano quindici minuti all’orario ufficiale quando idue protagonisti salgono sulla bascula.
70,100 per Rosi
70,500 per Thomas.
Il limite è 69.853.
Cinque minuti dopo, nuova pesatura.
69.933 Rosi.
Il supervisore lascia correre, Bob Arum applaude imitato dal resto della sala. Problema risolto.
70,300 Thomas, quasi mezzo chilo ancora sopra.
Arum applaude di nuovo, il supervisore Sam Macias segna sul foglio 69,853 e gli applausi aumentano.
A strillare rimane solo Silverio Gresta, il manager del campione.
«È una truffa. Ho presentato riserva scritta. Ci sono state pesanti ingerenze dell’organizzazione americana».
Gianfranco va giù ancora più pesante.
«Sapevo che nel mondo della boxe ci sono mafia e corruzione, ma non credevo si manifestassero in maniera così evidente. Bob Arum ha avallato il peso di Thomas quando sapeva benissimo che era fuori di mezzo chilo. Credo sia finita l’epoca dei gangster nel mondo della boxe. Non mi presto a questi giochi».
Farsa? Scandalo?
È la boxe, bellezza.

Genova, 4 gennaio 1988
Mentre Duane Thomas vola fuori dalle corde, le braccia inermi lungo i fianchi, gli occhi chiusi per non vedere la paura, gambe incrociate in segno di una resa ormai definitiva, Gianfranco Rosi salta di gioia e con lo sguardo cerca gli occhi di Patrizia.
Cappellino rosso, pantaloni dello stesso colore, la moglie è lì, a pochi passi, arrampicata su una traballante impalcatura, a urlare di gioia.
Come una maschera antica, una di quelle che può restituire mille facce a seconda di come la si guardi, Rosi anche stavolta offre l’ennesima versione del suo pugilato e dà il meglio di sé. In questa occasione si propone come pugile che, pur di portare a termine il lavoro, accetta di rischiare oltre il dovuto. Deve privare lo sfidante di qualsiasi scelta tattica, Thomas non deve avere il tempo per pensare. E allora, sull’altare di questo schema, il campione sacrifica anche l’estetica. Va a vuoto più del solito, si espone più del previsto, ma macina azioni in continuità e tiene un ritmo che stroncherebbe anche i grandi.
Ancora una volta ha ragione lui. Livelli tecnici non esaltanti, vero. Ma l’azione che chiude il match è da applausi: un gancio destro corto spegne i riflessi dello sfidante. Una successione di colpi rapidissimi, una lunga serie senza dare a Thomas il tempo per riprendere fiato, chiude il conto.
Il ko arriva alle 3:45 del mattino.
Il pesto lo precede di tre quarti d’ora.
Piatti verdi e profumati invadono il bordo ring. Duecento forchette scattano all’unisono, per le trenette non c’è scampo.
Bob Arum ride.
«Se riuscissimo a fare la stessa cosa a Las Vegas, metteremmo su un affare sensazionale. Ci sarebbero soldi per tutti».
Deluso dalla sconfitta del suo pugile?
«Sono un professionista. Non mi interessa chi vince o chi perde».
Sono le 5 del mattino quando Gianfranco Rosi si siede su una comoda sedia nell’angolino più remoto dell’albergo che lo ospita.
«Bene ragazzi, domani devo combattere. Spero di farcela».
Strappa un sorriso.
«Pugni ne ho presi, sapete che fanno male. Può anche capitare che non ricordi che giorno è».
Qualche risata.
Che hai provato quando thomas è andato giù?
«Gioia! È brutto dire che mi sono sentito felice? E io lo dico lo stesso. Quando l’ho visto crollare, mi sono detto: E chi sono, Tyson?».
In platea c’era Thomas Hearns.
«Non chiedetemi l’impossibile. Lui e Hagler vorrei evitarli» ride.
Dove trovi la forza di volontà, la determinazione che mostri sul ring?
«Mio padre Nazzareno mi ha insegnato che nella vita per raggiungere un obiettivo, bisogna inseguirlo con rabbia, quella che ti viene dalla fame. Quella vera. Io non faccio a cazzotti solo per me, ma per mia sorella che sta male, mio fratello che ha sofferto, per mio padre che sarebbeora che smettesse di lavorare, per mia madre che dovrebbe pensare solo a riposarsi. Lo sento da sempre questo ruolo di perno della famiglia. devo arrivare il più in alto possibile. Solo in quel momento mi sentirò a posto con me stesso».
Un obiettivo nel cuore, un chiodo nella valigia.
«Vero. Anche stavolta quel chiodo di ferro che mio padre mi ha portato dall’Arabia ha viaggiato con me. Alla superstizione non rinuncio».

Perugia, 5 gennaio 1988
Cinquanta telegrammi. Almeno cento telefonate, inviti in televisione, a cene, premiazioni, spettacoli.
«Il rientro a casa è stato più faticoso che battere Thomas» scherza il campione.
«Sto vivendo una popolarità che non conoscevo. Ho riguardato l’azione del knock out. Vedermi aggredire in quel modo Thomas mi ha quasi spaventato. Non mi credevo così cattivo».
Gianfranco mi racconta un piccolo segreto del match mondiale.
«Al quinto round ho rischiato di finire ko. Sono stato centrato da un gancio sinistro. Maledizione, che dolore! Sono rimasto intontito, avrei anche potuto perdere il match. È forse per questo che non ricordo chiaramente la ripresa successiva. O forse è stata solo una questione di tensione. A fine combattimento non ero stanco fisicamente, ero distrutto per lo stress mentale».
Questo ragazzo di trent’anni non finisce di stupire.

(estratto dal libro ERAVAMO L’AMERICA, Dario Torromeo per Absolutely Free editore, 2019)

copia di coveramerica 10

Mondiali maschili 2023 Per ogni medaglia d’oro duecentomila dollari!

dollari copia

 

di Dario Torromeo

L’International Boxing Association hai tenuto questa mattina una conferenza stampa a Dubai, giornalisti di tutto il mondo hanno potuto seguirla online tramite Zoom.
 Sono state comunicate data e sede dei prossimi Mondiali maschili. Si svolgeranno a Tashkent (Uzbekistan) dall’1 al 14 maggio 2023. Ma soprattutto è stato comunicato il montepremi in palio, il più alto nella storia del pugilato dilettantistico.

200.000 dollari alla medaglia d’oro

100.000 dollari alla medaglia d’argento
50.000 dollari ciascuno alle due medaglie di bronzo.

Il totale del montepremi ammonata alla cifra record di 5.2 milioni di dollari.

Estelle Mossely (oro ai Giochi di Rio de Janeiro 2016, dove ha sconfitto Irma Testa nei quarti di finale) ha annunciato la sua intenzione di partecipare all’Olimpiade di Parigi 2024. La francese, 32 anni, è professionista dal 2018 con un record di 10-0 (1 ko).

L’IBA aveva precedentemente reso noto di avere dichiarato all’unanimità l’ex residente CK Wu persona non grata per “la sua attività in passato che ha portato all’attuale sospensione dell’IBA. Le violazioni della gestione finanziaria e organizzativa, nonché l’integrità sportiva sono state tra le irregolarità, dimostrate dal McLaren Independent Investigation Team (MIIT), che si sono verificate in passato all’interno dell’AIBA. Il rapporto del MIIT ha affermato che CK Wu ha la responsabilità ultima per i fallimenti nell’arbitraggio a Rio e per gli eventi di qualificazione, nonché per l’attività di corruzione nei comportamenti dei funzionari” ha dichiarato l’attuale presidente dell’IBA, il russo Umar Kremlev.

 

Il pugilato è inchiodato da cinque ultimi segnali L’avventura è alla fine

si

 

di Dario Torromeo

Il 76% dei contributi che arrivano alla Federazione Pugilistica Italiana provengono da Sport e Salute. Il 51% di questa quota arriva perché destinato ai Probabili Olimpici e all’attività di alto livello (il 60% del rimanente 49% viene speso in stipendi per il personale).
Cosa accadrebbe il giorno in cui la boxe scomparisse dal programma dei Giochi?
I finanziamenti verrebbero ridimensionati, con un effetto devastante sull’intera attività dilettantistica.
Quante probabilità ci sono oggi, 8 ottobre 2022, che il pugilato sparisca dalle Olimpiadi?
Io dico l’80%.
Elementi a sostegno della tesi, i cinque inquietanti segnali che danno poche speranze a chi questo sport lo ama.
UNO
CIO E IBA, È GUERRA APERTA
Comitato Olimpico Internazionale e International Boxing Association sono schierati l’uno contro l’altro. L’ultima decisione dell’IBA, quella di riammettere alle competizioni Russia e Bielorussia, è stata una mossa che il CIO non ha gradito. Pronta la reazione. Sembra che la decisione sul recupero della boxe, nel programma olimpico di Los Angeles 2028, sia stata anticipata da febbraio 2023 a dicembre 2022. Non è certo una buona notizia.
Cresce all’interno del movimento olimpico la convinzione che delle Olimpiadi si possa fare a meno. Lo sosterrebbe il Comitato Direttivo, con l’appoggio soprattutto dei Paesi africani. Sono convinti di poter fare come il calcio, sport in cui il momento più importante è rappresentato dai Mondiali. Ma la boxe dilettantistica non è il calcio professionistico.
DUE
KICKBOXING, ALTERNATIVA CHE PIACE
Un segnale negativo per il pugilato arriva anche da uno sport concorrente.
Tra le nove discipline inserite nella lista ristretta delle candidate a un posto per LA 2028, sta salendo sempre di più la quotazione della kickboxing (nello specifico il K1) che in molti danno come destinataria di uno dei tre posti che i nuovi sport olimpici avranno dai Giochi californiani in poi. È un obiettivo che la WAKO (World Association of Kickboxing Organizations) si era posta da tempo, rafforzata nei suoi propositi dal riconoscimento ufficiale del CIO nel 2018.
Un altro riconoscimento, quello del CONI che dovrebbe portare a breve la FederKombat da Disciplina Associata a Federazione, intensificherebbe le speranze degli appassionati di questo sport.
TRE
GLI SCONTRI RECENTI
L’IBA prosegue dritta per la sua strada, ignorando qualsiasi raccomandazione sulle linee di comportamento. Nell’ultimo Congresso straordinario ha votato di non votare per la presidenza, confermando di fatto Umar Kremlev ma contraddicendo quanto il TAS (Tribunale Arbitrale dello Sport) e il CIO avevano detto. Ha riammesso Russia e Bielorussia, nonostante il Comitato Olimpico Internazionale avesse chiesto di tenerle fuori da qualsiasi competizione. E questo solo per parlare degli ultimi giorni.
QUATTRO
UNA NUOVA FEDERAZIONE
Gira sempre più insistentemente la voce che Boris Van der Vorst, l’olandese che voleva candidarsi alla presidenza (ma gli è stata negata la possibilità di farlo), stia lavorando per creare una nuova Federazione formata dai dissidenti, da chiunque non si ritrovi nelle linee date da Kremlev.
Creare un nuovo organismo mondiale non è cosa facile. Servono soldi, contatti, appoggi politici, presa sull’elettorato, sponsor, capacità di aggregare un gruppo consistente di dirigenti, giudici e arbitri. Staremo a vedere.
CINQUE
ANCHE LA TV USA SI È ARRESA
L’ultimo segnale negativo, come se non ce ne fossero abbastanza, arriva dagli Stati Uniti. Ed è l’aspetto, se possibile, più grave. Da solo può costituire una montagna insormontabile. I ricavi del CIO per ogni edizione dei Giochi Olimpici arrivano al 75% dalla cessione dei diritti televisivi. Il network che li ha comprati fino al 2032, tre Olimpiadi estive e tre invernali, è l’americana NBC. Stiamo parlando di 7,75 miliardi di dollari.
L'audience della boxe dilettantistica ai Giochi è decisamente in calo. Per quel che riguarda gli uomini, la mancanza di fenomeni statunitensi pesa fortemente sul risultato negativo. L’ultimo oro è di Andre Ward, mediomassimo, ad Atene 2004. Nelle successive quattro edizioni dei Giochi: tre bronzi tra Pechino e Rio, zero medaglie a Londra, tre argenti a Tokyo.
La boxe non è tra i 100 programmi sportivi più visti nel 2021, lì dove il Football Americano piazza 75 eventi. Gli eroi del pugilato americano dilettantistico appartengono al passato. Agli anni Settanta, quelli degli ori dei fratelli Michael e Leon Spinks, di Sugar Ray Leonard. La NBA era uno sport in crescita, ma niente dirette TV per le finali, solo nastri registrati e mandati in differita dalle televisioni nazionali. Poi sono arrivati Larry Bird e Magic Johnson nel 1979, Michael Jordan nel 1984 e tutto è cambiato.
Il pugilato amatoriale con il passare del tempo ha attratto sempre di meno. Negli States adorano la potenza, la forza fisica. La boxe ai Giochi ignora il knock down, mettendolo alla stessa stregua di un diretto tirato con poca convinzione. L’assenza quasi totale del ko è la regola. L’imprevedibilità dei giudici ha reso meno credibile lo spettacolo. Tutto questo ha contribuito ad abbassare anche l’indice di gradimento, ad attirare sempre meno ragazzi che col tempo hanno mutato i loro interessi.
Messe insieme tutte queste cose, e calcolato il costo di acquisto del prodotto, anche la NBC potrebbe essere dalla parte di chi chiede l'esclusione del pugilato in favore di sport che hanno maggiore presa sui giovani. 
La boxe ha fatto parte dei Giochi a partire dalla terza edizione, ospitata da St. Louis nel 1904. Da allora è sempre stato presente, ad eccezione di Stoccolma 1912 (all'epoca in Svezia era uno sport bandito dalla legge).
All’inizio ho parlato dell’80% di possibilità che il pugilato scompaia dalle Olimpiadi.
Forse sono stato ottimista.

Parliamo di Tyson Fury di Mike Tyson, Joe Louis del mito Muhammad Ali

0 fury wilder1

 

Tyson.
Se lo leggete come nome proprio e aggiungete Fury, riceverete commenti (nella migliore delle ipotesi) controversi. Se lo prendete come un cognome e lo fate precedere da Mike, avrete solo consensi.
Qualcosa non mi torna.
Mike Tyson è stato un pugile che ho ammirato, oltre ad averlo seguito da bordo ring nei match più importanti della carriera. Non era solo un’espressione di potenza, era abile soprattutto sul piano tecnico.
Fisicamente partiva con l’handicap dell’altezza. È vero, nel passato due grandi come Rocky Marciano e Joe Frazier misuravano più o meno gli stessi centimetri di Iron Mike. Ma era un'epoca diversa, la fisicità dei campioni tra i pesi massimi è cresciuta e Tyson si è trovato ad affrontare quasi sempre pugili più alti di lui.
Questa situazione gli poneva due problemi.
Primo, la difficoltà ad accorciare la distanza. Secondo, la necessità assoluta di chiudere quando era nei corpo a corpo.
L’uomo di Brownsville li ha risolti brillantemente. La capacità di raggiungere l’obiettivo evitando i colpi con una continua oscillazione del tronco, millimetriche schivate, scelta di tempo e rapidità di esecuzione erano il suo marchio. Una volta agganciato l’avversario, l’abilità tecnica nel portare i colpi da vicino abbinata a velocità e precisione, ovvero potenza, faceva il resto.
Ecco, questo secondo me è un concentrato di quello che è stato Tyson sul ring. Forte, bravo. Nessuno ha messo in dubbio il suo valore, nessuno si è preoccupato di offendere lui e i suoi rivali.
E sì perché Tyson per il titolo ha affrontato: Berbick, Smith, Thomas, Tucker, Biggs, Holmes (aveva 38 anni e veniva da due sconfitte), Tubbs, Michael Spinks (un mediomassimo salito di categoria nel finale di carriera), Bruno, Williams, Seldon e li ha battuti. Pensate che tra questi ci sia qualcuno che possa essere inserito tra i grandi di sempre?
Preciso. Larry Holmes a mio avviso è stato un fuoriclasse, degno dei migliori. Ma non lo era più nel momento in cui è salito sul ring contro Tyson.
Iron Mike ha perso contro James Buster Douglas (forse uno dei rivali meno forti tra quelli da lui affrontati), due volte con Evander Holyfield, è stato distrutto da Lennox Lewis e ha chiuso la carriera perdendo con Danny Williams e Kevin McBride.
Ecco. Nomi e risultati. Eppure nessuno mette in dubbio il suo valore. Nessuno sottolinea come il livello medio dei rivali non fosse eccelso, pochi ricordano le devastanti sconfitte (umilianti sul piano tecnico le due contro Holyfield, pesante su quello fisico il ko subito da Lewis). Nella testa di tutti noi rimane l’immagine di un giovane campione che stendeva chiunque avesse il coraggio di affrontarlo.
A Tyson Fury non è riservato lo stesso trattamento.
Ha battuto Wladimir Klitschko, due volte Deontay Wilder. E poi Whyte e Chisora che valgono più di alcuni dei rivali per il titolo di Tyson.
Fury paga un fisico non certo statuario. Il grasso che appesantisce i suoi fianchi straccia l’immagine del peso massimo alla Muhammad Ali. E mi fermo un attimo su Ali. Non voglio certo paragonarlo a Fury, voglio solo dire che nell’immaginario collettivo è stato il più forte peso massimo di sempre. Ancora una volta quello che il personaggio, l’uomo, rappresenta travalica il valore tecnico. Riguardatevi i match di Joe Louis e il suo record, fatelo senza preconcetti e con attenzione. Magari potreste accorgervi che è stato lui il più grande peso massimo di sempre.
Torno a Fury.
È un gigante di 2.06 per 120 chili che si muove con agilità, a tratti addirittura danza sul ring. Il suo jab è uno spettacolo. La resistenza ai colpi è incontestabile. Il knock down subito per colpa del destro di Deontay Wilder è stato devastante. Pochi, pochissimi sarebbero stati in grado di rialzarsi e combattere. Perché Wilder non avrà tecnica, ma il suo destro è un’arma che quando arriva provoca disastri.
Fury è intelligente, sul ring sa cambiare tattica a seconda dell’avversario e del momento. Ha pesantezza nei colpi.
È un campione.
La mania delle classifiche all time, un gioco e niente più, sminuisce la bellezza della boxe. Diverso il contesto storico, gli avversari, la preparazione, l’alimentazione, gli aiuti della scienza, gli studi tecnici.
E poi, la memoria inganna. Ci portiamo dietro i ricordi belli, cancelliamo quelli scomodi. Ali, Frazier, Foreman sono stati dei grandissimi. Joe Louis lo è stato di più. Per modernità, tecnica, potenza, longevità. Ma lo sento citare meno volte rispetto al trio delle meraviglie.
Il presente non può competere su questo piano, manca della drammaticità del pionierismo, della risonanza universale degli anni Settanta, della popolarità mostruosa di più campioni nello stesso periodo storico, di una diffusione planetaria degli eventi attraverso il mezzo televisivo che ora opera seguendo dinamiche diverse.
Tyson Fury non è Ali, né tantomeno Joe Louis. Ma è un grande peso massimo, degno campione del mondo e re indiscusso del momento in cui esercita il suo mestiere. Credo meriti rispetto, se non addirittura ammirazione.

Cento titoli nel mondo l’Italia ne ha solo uno... Chi è il colpevole?

cover

 

Europa (14 cinture) e Mondo (86 campioni) distribuiscono gloria, noi in vetta abbiamo solo Magnesi: superpiuma IBO

Una storia di sangue... Il mito contro il killer per Clay c'è Big Tony

BBC

 

Era il 17 gennaio del '61. Vinto l'oro a Roma, Cassius al terzo match da pro trova Anthony Esperti

Due parole su Simona combatteva da mosca ma era un gigante...

galassi

 

Tre volte campionessa del mondo tra i dilettanti, tre volte tra i professionisti. Talento, determinazione. Una fuoriclasse

Danny, un triste ko... in una palestra vuota Ha bisogno di aiuto

 250px 6522

 

Williams (48 anni) ha messo ko Tyson e perso il mondiale con V. Klitschko. Aperta una colletta per farlo smettere

RIFERIMENTI

BOXE RING WEB

EDITORE FLAVIO DELL'AMORE

Autorizzazione

Tribunale di Forli' n. 2709

CHI E' ONLINE

Abbiamo 896 ospiti e nessun utente online

FORUM

logo boxeringweb2017c

Il Forum a cura di NonSoloBoxe

Per discutere di Boxe e non solo...

CLICCA SUL BOTTONE
PER ACCEDERE AL FORUM

go