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Bordo Ring

Cotto all'addio al Madison contro il newyorkese Sadam Ali

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Portoricano favorito ma pronostico non del tutto chiuso

 

 

Ci vuole molto coraggio a salire sul ring, ce ne vuole ancora di più per scenderne definitivamente, soprattutto per propria decisione e non, come sosteneva Bernard Hopkins, quando è il ring che "ti ritira". Miguel Angel Cotto sembra avere scelto di percorrere ora questa strada che ti costringe a fare un bilancio e ad affrontare una nuova vita spesso lontano da quei riflettori che creano dipendenza come la peggiore delle droghe. Cotto ha 37 anni ed ha iniziato il professionismo nel 2001 da peso superleggero. Era stato un buon dilettante soprattutto a livello di categorie giovanili ma il suo tipo di pugilato era molto più adatto al professionismo che non al nefasto dilettantismo delle macchinette e praticamente alla cancellazione del lavoro al corpo che era ed è poi sempre stato il suo marchio di fabbrica, prova lampante la vittoria prima del limite sull'uzbeko Muhammad Abdullaev nel 2005 vendicando l'eliminazione subita dallo stesso avversario alle Olimpiadi di Sydney, avversario che vinse la medaglia d'oro.

Allora Cotto aveva già conquistato il titolo di sigla WBO dei superleggeri battendo l'imbattuto Kelson Pinto. Di lui si diceva che sarebbe durato poco perché straviziava, che si allenava poco e ingrassava. Se era vero il ragazzo è maturato molto in fretta mettendosi alle spalle quelle chiacchiere. Lo avevamo visto per la prima volta demolire il picchiatore Randall Bailey, lo vedemmo quasi narcotizzare Ricardo Torres che allora era molto considerato, costringere alla resa il nostro coraggioso Gianluca Branco, fare del male a Paulie Malignaggi, Carlos Quintana, Oktay Urkal e Zab Judah e vincere un match chiave in una carriera come quello contro un campione come Shane Mosley. Dal match con Quintana in poi Cotto era un peso welter che sembrava quasi inarrestabile prima di andare a sbattere contro i trucchi sporchi di Antonio Margarito.

Non c'è nessuna prova certa al 100% che Margarito quella notte del luglio 2008 avesse indurito, o meglio lo avesse fatto il suo trainer Xavier Cepetillo, il bendaggio con del gesso, ma se il messicano fu scoperto a usare questa pratica omicida prima di incontrare Mosley nel gennaio 2009 non si può credere fosse una novità ma una terribile abitudine, e le fotografie scattate al bendaggio del match con Cotto avvallano questa ipotesi. I fatti dicono che Cotto subì un pestaggio terribile e una sconfitta prima del limite. In molti pensarono che il portoricano fosse stato fortunato a portare a casa la pelle e che non sarebbe mai più risalito sul ring ma Cotto avrebbe ancora una volta smentito tutti anche se forse sul ring quella notte lasciò troppo del suo.

Lo abbiamo visto prendersi una terribile rivincita su un Margarito senza gesso nel bendaggio, perdere con Manny Pacquiao e con Floyd Mayweather ma dando a Pretty Boy Floyd filo da torcere come pochissimi altri, anzi forse solo Castillo in verità ancora di più, erano riusciti a fare. Ha battuto Mayorga, ha battuto Yuri Foreman, è stato campione di sigla fra i superwelter, ha sorprendentemente perduto con Austin Trout ma ha messo la ciliegina sulla torta conquistando il titolo mondiale vero fra i pesi medi anche se approfittando delle disgrazie fisiche del grande argentino Sergio Gabriel Martinez.  Ma Cotto non era un peso medio e fu poi battuto da Canelo Alvarez. Lontano dal ring per 18 mesi vi è tornato per battere il giapponese Kamegai, prendersi il titolo di sigla WBO dei superwelter e chiudere sabato sera la carriera al Madison Square Garden.

Cotto con New York ha avuto una grande storia d'amore. Pur essendo portoricano è nato non lontano da lì, nel ricco Rhode Island, ha combattuto 11 volte a New York 9 delle quali proprio al Madison ed è diventato presto un idolo della comunità portoricana, numerosissima nella Grande Mela. Sabato saranno in tantissimi a salutarlo e a ringraziarlo e a sperare li faccia felici un'ultima volta lasciando magari qualche rimpianto.

Non sarà certo d'accordo Sadam Ali, il 29enne avversario dell'ultima sera presentato come agnello sacrificale.  Non è così perchè Ali è un buon pugile anche se la sua carriera non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Cotto. Figlio di immigrati yemeniti, Ali ha rappresentato gli Stati Uniti alle Olimpiadi di Pechino del 2008 e poi è passato subito professionista. Stava crescendo bene e le vittorie su pugili come Luis Carlos Abregu soprattutto, ma anche Mike Santana, lo testimoniano. Poi ha perso per la prima e finora unica volta con Jessie Vagas che non è uno qualsiasi, ma ci ha perso prima del limite.

Se la presunzione di Bernard Hopkins lo portò a scegliere come ultimo avversario un picchiatore come Joe Smith Jr, chi guida Cotto non sembra avere fatto lo stesso grave errore. Ali è tecnicamente un buon pugile con buoni fondamentali e una potenza molto discreta. Ha mani e piedi veloci e soprattutto nei primi round può creare dei fastidi a un Cotto che diverse volte è partito come partivano i diesel di vecchia generazione. A 37 anni  e dopo la sua dura carriera Cotto non può più essere il pugile di un tempo, ma è opinione generale che la sua asfissiante pressione, il suo tagliare il ring, la sua potenza finiranno per essere troppo per un rivale che a casa sua, è newyorkese purosangue, vorrà comunque fare bella figura. Un avversario potabile, la giusta scelta per un addio non solo da passerella, un avversario insomma che difficilmente sovvertirà un pronostico che gli lascia comunque qualche possibilità.

Al peso  Cotto 68,8 kg   Sadam Ali 69.399 kg

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