logo facebook

SEGUICI SU FACEBOOK

La Boxe nella storia

Michael Spinks e Roy Jones Jr: gli ultimi due re dei mediomassimi

 

 

Il confronto tra le carriere dei due campioni

Ci fa  capire com’è cambiata la boxe dagli anni Ottanta a oggi

 

di Matteo Biancareddu

 

 

 

E’ di questi giorni la schiacciante vittoria del mediomassimo russo Sergey Kovalev sull’haitiano-canadese Jean Pascal. Kovalev è oggi uno dei due campioni di una categoria bicefala come una mostruosa creatura mitologica: l’altra testa è Adonis Stevenson, un altro haitiano-canadese che, rispetto a Kovalev, vanta maggior credito in quanto detentore del cosiddetto titolo “lineare”, unico punto cardinale in mezzo al folle marasma dei titoli e delle sigle. L’ambivalenza tra Stevenson e Kovalev, come tutte le contraddizioni logiche, sta dando luogo a una magmatica rivalità destinata a eruttare – si spera quanto prima – in uno scontro chiarificatore, che tuttavia sarà una soluzione illusoria ed effimera del problema.

Come si è giunti a questa situazione di totale indeterminatezza? Nella fattispecie dei mediomassimi, si può dare una risposta a questa domanda riavvolgendo il nastro e tornando agli anni Ottanta, la decade che vide lo sdoganamento definitivo delle sigle. La WBA e il WBC esistevano da quasi vent’anni (rispettivamente, dal 1962 e dal 1963), e avevano già all’attivo provvedimenti tanto arbitrari quanto discutibili: basti pensare all’immotivata destituzione di Muhammad Ali decisa dalla WBA in seguito al secondo match con Liston e all’identico provvedimento assunto dal WBC nei confronti dello stesso Ali in risposta al suo rifiuto di concedere una rivincita immediata a Ken Norton, che fu riconosciuto retroattivamente come campione (primo e unico caso del genere nella storia) per la sua precedente vittoria su Young in una eliminatoria mondiale. Insomma, le avvisaglie di un futuro deteriore c’erano tutte. A quel tempo, però, era difficile immaginare che la situazione sarebbe degenerata fino al livello attuale.

Negli anni Ottanta, la WBA e il WBC presero due strade parallele, destinate a riunirsi episodicamente per separarsi di nuovo subito dopo. La volontà bilaterale di favorire i match di riunificazione iniziò lentamente a venire meno, nell’ormai dilagante disinteresse per la credibilità dello sport. A confondere ulteriormente le cose si aggiunsero, rispettivamente all’inizio e alla fine del decennio, l’IBF e la WBO, altre due organizzazioni con pretese di regolare il mondo pugilistico. Questi due enti, inizialmente minoritari, trassero forza e legittimazione dalla perdurante lotta fratricida tra la WBA e il WBC, fino ad acquistare pari potere e prestigio. La disgregazione era allora compiuta.

Spinks Michael

Negli anni Ottanta, tuttavia, restò ferma – anche se non in tutte le categorie – la sana abitudine di concordare incontri per la riunificazione del titolo mondiale. Se Larry Holmes, conclamato campione dei pesi massimi, non ebbe l’opportunità di riunificare il proprio titolo WBC con il WBA, malgrado reclamasse la possibilità di farlo, la riunificazione dei titoli si verificò nei mediomassimi, dove i campioni WBA e WBC si sfidarono per dirimere finalmente la questione. L’uomo della WBA era Michael Spinks(foto), che aveva conquistato la cintura battendo l’ottimo Eddie Mustapha Muhammad (alias Edward Lee Gregory) nel 1981, mentre il detentore del titolo WBC era Dwight Muhammad Qawi, alias Dwight Braxton, che si era consacrato campione a spese di Matthew Saad Muhammad (alias Matthew Franklin, alias Maxwell Antonio Loach) nello stesso anno. Si noti il proliferante fenomeno delle conversioni all’Islam in ambito sportivo, retaggio inequivocabile della recente “epifania” di Muhammad Ali. Spinks, già medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Montreal nel 1976, aveva già difeso il titolo cinque volte, non prima di aver affrontato e battuto uomini del calibro di Yaqui Lopez e Marvin Johnson. Braxton, invece, era un ex galeotto che aveva imparato la boxe in prigione, per poi affinarsi e temprarsi nelle dure palestre di Filadelfia una volta fuori. Date la sua base operativa e la sua corporatura taurina da brevilineo, Braxton – poi ribattezzato Muhammad Qawi – non poteva diventare altro che un novello Joe Frazier, mentre Spinks, dotato di un fisico longilineo e di un’impostazione più classica, era un epigone di Muhammad Ali, sebbene il suo allenatore, il grande Eddie Futch, si fosse distinto come l’autentica nemesi di Ali per avere allenato i soli due pugili che l’avevano battuto al suo meglio: Ken Norton e, appunto, Joe Frazier. Essendo ancora vivo il ricordo dell’epica trilogia tra Ali e Frazier, la nuova rivalità tra Spinks e Braxton non poteva che appassionare e dividere gli amanti della boxe. Il 18 marzo 1983, l’agilità e l’astuzia di Michael Spinks ebbero la meglio sull’impeto arrembante di Dwight Braxton: la categoria trovava così un vero padrone. Nei due anni seguenti, Spinks difese il titolo quattro volte, annettendo con la seconda difesa anche la cintura della neonata IBF, giusto per consolidare ulteriormente la propria leadership. Poi, nel 1985, salì nei pesi massimi.

Il titolo mondiale della categoria regina, in quel periodo, era frammentato. Il WBC riconosceva Pinklon Thomas, labile allievo di Angelo Dundee, mentre la WBA aveva incoronato Tony Tubbs, vincitore di Greg Page in quello che molti ricordano come il più noioso campionato dei massimi di tutti i tempi. Il vero campione del mondo era però Larry Holmes, che si fregiava del solo titolo IBF. Il riconoscimento di Holmes, fresco di destituzione da parte del WBC per divergenze circa gli sfidanti al suo titolo, fu la mossa che permise alla neonata IBF di guadagnare punti sugli altri enti, perché era fin troppo evidente che nessun altro pugile meritasse più di Holmes la qualifica di campione legittimo. Il nero di Easton, allora ormai trentacinquenne, si era guadagnato i galloni in due fasi: battendo per il titolo WBC quel Mike Weaver che sarebbe di lì a poco diventato campione WBA (senza alcuna credibilità, ovviamente) e battendo poi il redivivo Muhammad Ali, suo modello e mentore, che si era ritirato due anni prima come l’ultimo campione lineare e quindi legittimo. Nessuno al mondo, a parte gli ineffabili dirigenti della WBA e del WBC, considerava campione mondiale dei massimi altro pugile che non fosse Larry Holmes. E così la pensava anche Spinks: il suo obiettivo non era conquistare un titolo di sigla che gli conferisse la patente formale di campione, ma era battere il campione mondiale lineare e diventare a sua volta l’unico campione universalmente riconosciuto. Holmes era letteralmente a un passo dall’eguagliare il mitico primato di quarantanove vittorie senza sconfitte stabilito da Rocky Marciano: la festa era pronta, con tanto di invitati illustri (tra cui i familiari dello steso Marciano), e Spinks sembrava destinato a svolgere il ruolo del cerimoniere. Invece, nello sconcerto generale, lo sfidante fu dichiarato vincitore con verdetto unanime al termine delle canoniche quindici riprese. Holmes si infuriò a tal punto da inveire contro gli incolpevoli parenti di Marciano, ritenendo di essere vittima di una cospirazione. La realtà era diversa: “Puffy Larry”, come Holmes era ormai chiamato per via dei suoi fianchi divenuti abbondanti, non era più il pugile di qualche anno prima, e Spinks ne aveva approfittato. I pesi massimi avevano un nuovo campione.

Spinks concesse addirittura il bis nel match di rivincita, che lo vide imporsi di nuovo ai punti, stavolta con verdetto non unanime. Poi, dopo un’agevole difesa del titolo con il norvegese Steffen Tangstad, volle affrontare Gerry Cooney contro le direttive dell’ente, che gli imponeva la difesa obbligatoria contro Tony Tucker. La revoca del titolo fu la logica conseguenza. Nel match con Cooney, un gigante di quasi due metri con un gancio sinistro al tritolo, Spinks partiva sfavorito: sua madre minacciò persino un’azione legale contro il suo manager nell’eventualità che suo figlio riportasse danni fisici in quell’incontro. Invece, Spinks mise in scena una delle migliori performance di tutta la sua carriera: non solo batté Cooney, ma lo bastonò duramente e lo mise KO al quinto round.

Nel frattempo, i tre titoli di sigla maggiori (IBF, WBA e WBC, in rigoroso ordine alfabetico) furono riuniti da Mike Tyson, l’uomo nuovo della categoria. Tyson, sia per lo stile iperaggressivo – per giunta amplificato da una potenza squassante – sia per la fama di cattivo (“the baddest man on the planet”, così era chiamato), stava tenendo a battesimo una nuova, grande era di pesi massimi, dopo la mediocrità che aveva contrassegnato la prima metà degli anni Ottanta. Aveva già riunificato interamente il titolo mondiale (il WBO, che non era ancora un titolo maggiore, era nelle mani dell’italiano Francesco Damiani), ma non era soddisfatto: per la piena e definitiva legittimazione, voleva anche il platonico titolo lineare, che era logicamente ancora in possesso di Spinks. L’ex mediomassimo avrebbe potuto sottrarsi alla sfida, perché nessun ente gli prescriveva di affrontare Tyson; tuttavia, rese onore al proprio status di campione morale accettando di incrociare i guantoni con “Iron Mike”. Il risultato fu che Spinks, visibilmente impaurito, fu liquidato da Tyson in un minuto e mezzo. Con quella sconfitta, si chiuse la carriera di Michael Spinks. Il suo record è di trentuno vittorie, ventuno delle quali prima del limite, e una sola sconfitta.

jones roy wins Sheika

Roy Jones Jr ( foto a dx)si affacciò al professionismo nel 1989, l’anno successivo a quello del ritiro di Spinks. Era già famoso perché, ai Giochi Olimpici svoltisi a Seul l’anno prima, era stato vittima del verdetto più scandaloso nell’intera storia della boxe olimpica, nella finale con il beniamino locale Park Si-Hun (già beneficiario di un altro verdetto generoso nel quarto di finale con l’italiano Vincenzo Nardiello). Jones fu comunque premiato con la Coppa Val Barker, destinata al pugile migliore del torneo: un riconoscimento che, alla luce del torto subito, sembrò più una beffa ulteriore che un parziale risarcimento.

Nel 1993, all’età di ventiquattro anni, Roy Jones Jr vinse il primo titolo di sigla, quello IBF dei pesi medi, battendo il ventottenne Bernard Hopkins, anch’egli al primo tentativo iridato. Hopkins era un ex galeotto che aveva conosciuto la boxe in prigione e aveva iniziato a praticarla nelle spartane palestre di Filadelfia, esattamente come Dwight Braxton, cui lo accomuna anche la conversione all’Islam. All’epoca del match con Jones, Hopkins era il classico “Philadelphia fighter”: duro, aggressivo, irriducibile, temprato come acciaio dalle cosiddette “Philly gym wars”, le terribili sessioni di sparring che divampavano nelle palestre della città. Solo negli anni a seguire, Hopkins si sarebbe evoluto in un epigone del tecnico George Benton piuttosto che del fighter Bennie Briscoe. Jones approfittò dello stile ancora grezzo di Hopkins per boxarlo fuori dalla guardia e batterlo nettamente ai punti in dodici round. Se avesse voluto, il pugile di Pensacola sarebbe potuto restare nei medi ancora per qualche tempo, così da riunificare il titolo mondiale di una categoria tra la più prestigiose. Invece, dopo una difesa vittoriosa del titolo contro Thomas Tate, Jones preferì salire nella giovane categoria dei supermedi, istituita una decina d’anni prima.

Al peso delle 168 libbre, Jones si laureò campione IBF togliendo la cintura all’imbattuto James Toney, un eccellente pugile il cui stile sgusciante e scientifico ricordava quello del mitico Archie Moore. Pur avendo solo un anno in più rispetto a Jones, Toney aveva nel carniere delle prede più prestigiose: su tutte, Michael Nunn e Mike McCallum nei medi, Iran Barkley nei supermedi. Ma aveva anche un’incorreggibile tendenza a trascurare gli obblighi da atleta, specialmente quando sedeva a tavola: questa deleteria inclinazione, per giunta destinata ad acuirsi con il passare degli anni, gli era quasi costata una sconfitta contro il carneade Dave Tiberi, che fu ignobilmente defraudato del verdetto. In occasione del match con Jones, Toney non si smentì e si presentò mal preparato, subendo un atterramento e una lezione di boxe della durata di dodici riprese. Questa vittoria resterà la più prestigiosa nella carriera di Jones.

Dopo cinque difese del titolo IBF contro avversari di medio livello, Jones passò nei mediomassimi. Nel 1996, affrontò il trentanovenne Mike McCallum per il titolo WBC “ad interim”, cioè provvisorio: una sorta di riedizione aggiornata dei titoli “duration” istituiti durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i campioni erano sotto le armi e non potevano quindi difendere i rispettivi titoli. Solo che, appunto, allora c’era la guerra. Come Toney, che peraltro affrontò tre volte in carriera, anche McCallum era un professore del ring. Già campione di sigla nei superwelter, nei medi e nei mediomassimi, aveva battuto campioni come Julian Jackson, Don Curry e Steve Collins, perdendo solo con l’italiano d’adozione Sumbu Kalambay e con lo stimato rivale James Toney, prima della sconfitta che, nel 1995, gli era costata la perdita del titolo WBC dei mediomassimi, in Francia contro il locale Fabrice Tiozzo. Ormai al crepuscolo della carriera, McCallum non poteva certo avere la meglio sul rampante Jones, che pure dovette accontentarsi di una schiacciante vittoria ai punti. Quel risultato contribuì a fare di Jones il miglior pugile al mondo “pound for pound”, categoria per categoria: il riconoscimento gli fu attribuito dalla prestigiosa rivista The Ring, che l’avrebbe confermato fino al 1999 (con l’intermezzo di Oscar De La Hoya nel 1997) e poi rinnovato nel 2003. Gli anni Novanta furono la decade di tre campioni: Julio Cesar Chavez all’inizio, Pernell Whitaker nel mezzo e Roy Jones Jr alla fine.

Il primo tentativo di Jones di aggiungere un titolo dei mediomassimi alla sua già ricca collezione fallì con modalità singolari e controverse. Il pugile di Pensacola sfidò l’imbattuto Montell Griffin per il titolo WBC. Griffin era in ascesa: aveva raccolto due prestigiose vittorie ai punti sull’ondivago Toney ed era un pregevole tecnico difensivo, cresciuto con il mito e il modello di Muhammad Ali. Il suo allenatore era il leggendario Eddie Futch, da molti considerato il migliore di sempre. Benché fosse dato sfavorito 6 a 1 dagli allibratori, Griffin arrecò a Jones difficoltà per lui inedite, confondendolo e innervosendolo con il suo stile elusivo. Nel nono round, pur avendo toccato il tappeto nel settimo, il pugile di Chicago era in vantaggio sui cartellini di due giudici, seppur di stretto margine. In quella ripresa, tuttavia, accadde l’evento decisivo, che avrebbe dato luogo a molte discussioni: Griffin poggiò un ginocchio al tappeto, “per pulirsi la testa”, disse lui. Il gesto era da considerarsi atterramento, con annesso conteggio e conseguente sospensione del combattimento. Jones, invece, assestò al rivale un colpo che ebbe l’effetto di metterlo KO. L’arbitro Tony Perez procedette stranamente al conteggio, per poi decretare la squalifica di Jones a conteggio ultimato. L’ufficiale motivò l’irrituale operato argomentando che, se Griffin si fosse rialzato entro il conto di “dieci”, avrebbe detratto a Jones due punti di penalità e comandato la ripresa del combattimento. Ma Griffin non si rialzò, costringendo l’arbitro a sancire la squalifica del suo avversario.

Un rematch era tanto necessario quanto scontato, ed ebbe luogo cinque mesi più tardi. Quella volta, quasi a voler sgomberare il campo da qualsiasi possibile equivoco, Jones chiuse la pratica già nella prima ripresa, infliggendo all’avversario due atterramenti. Dopo quella vittoria, che gli era valsa la conquista del titolo WBC, Jones annunciò la decisione di rendere vacante la cintura per azzardare una sortita nei pesi massimi, dove James “Buster” Douglas, l’inopinato giustiziere di Tyson nello storico match di Tokyo, era pronto ad affrontarlo. Il WBC agì di conseguenza mettendo in palio il titolo vacante tra Michael Nunn e Graciano Rocchigiani, i primi due classificati nel suo ranking; ma cambiò subito idea quando Jones comunicò di aver cambiato la propria. Il padre del pugile aveva detto al figlio che avrebbe rischiato la vita affrontando Douglas, e quelle parole convinsero Jones a recedere dai suoi propositi. A quel punto, il WBC rispolverò un vecchio numero di repertorio: nominò arbitrariamente Jones campione “in recesso” e attribuì retroattivamente al match tra Nunn e Rocchigiani lo status di campionato “ad interim”, non più assoluto. Rocchigiani, che aveva vinto quel match e il titolo in palio, non chinò il capo e anzi intentò una causa legale contro l’ente, spingendo Sulaiman e soci sull’orlo della bancarotta. Solo un accordo in extremis con la controparte, i cui termini non sono mai stati resi noti, permise al WBC di revocare l’istanza di liquidazione che già aveva presentato. E’ facile supporre che Rocchigiani, per sottoscrivere quel compromesso, abbia ricevuto un lauto risarcimento.

Jones riunificò i titoli WBA e WBC battendo Lou Del Valle, per poi annettere anche il titolo IBF con la vittoria su Reggie Johnson. Malgrado ciò, non fu mai riconosciuto come campione lineare, perché quel titolo spettava di diritto al polacco Dariusz Michalczewski, che se l’era guadagnato battendo Virgil Hill in un match di riunificazione datato 1997. E’ inevitabile chiedersi, a questo punto, come abbia fatto Jones a iniziare la riunificazione del titolo mondiale già nel 1998, cioè l’anno dopo. Il motivo è presto spiegato: l’IBF e la WBA, gli enti che riconobbero – insieme con l’ambiziosa WBO – il match tra Hill e Michalczewski, esautorarono subito il polacco adducendo motivazioni chiaramente pretestuose. La WBA si risentì perché il pugile esibì la sua cintura assieme a quella della WBO, ente che la WBA si rifiutava di riconoscere come legittimo; l’IBF, invece, impose a Michalczewski un’irrituale difesa obbligatoria contro lo sfidante ufficiale William Guthrie a poco più di un mese dal match con Hill: il polacco, ovviamente, declinò l’invito e dovette restituire il titolo appena conquistato. A Michalczewski restarono il titolo lineare e quello della WBO: anche in questo caso, come per l’IBF con Larry Holmes, un ente non ancora pienamente riconosciuto come legittimo trovò dignità e credibilità grazie irresponsabilità degli altri.

Dopo la riunificazione dei titoli IBF, WBA e WBC nel match con Johnson, Jones si avocò arbitrariamente la qualifica di campione lineare. Ma il pubblico e la critica non persero occasione per ricordargli che tale titolo, con buona pace delle sigle, spettava ancora a Michalczewski. Che, per parte sua, inoltrò a Jones ripetute offerte per un match di riunificazione totale in Germania, dove il polacco aveva la propria inespugnabile roccaforte. Ma Jones le respinse tutte, temendo – non a torto – che il verdetto dei giudici sul suolo teutonico non sarebbe stato equanime. Il fatto di non essere riconosciuto come campione lineare, tuttavia, lo infastidiva: chiese persino alla HBO, l’emittente via cavo che trasmetteva i suoi match, di bandire il nome di Michalczewski dalla sua programmazione. L’assurda richiesta restò ovviamente inevasa.

Della campagna di Jones nei mediomassimi si ricordano sì le dieci difese consecutive del titolo riunificato (al cui carro si agganciarono anche le sigle più improbabili, come l’IBA, l’IBO e la WBF, anch’esse in cerca di pubblicità), ma anche gli incontri che il pugile, in quel periodo, avrebbe dovuto fare e non fece. Oltre a quello con Michalczewski, che il pubblico americano votò in un sondaggio come il più desiderato, si contano anche le due rivincite con Hopkins e Toney, richieste a più riprese dagli interessati e mai concesse. Hopkins, soprattutto, voleva fortemente quel match: era il campione indiscusso dei pesi medi e aveva riunificato interamente il titolo mondiale (impresa che non sarebbe più riuscita a nessuno dopo di lui), ma non aveva sfidanti abbastanza credibili sul piano sportivo e quindi appetibili su quello economico. La rivincita con Jones, invece, avrebbe mosso interessi colossali: per questo, oltre che per orgoglio, Hopkins la voleva così ferocemente. Ma Jones gliel’avrebbe concessa solo a fine carriera, quando era lui, non più Hopkins, a cercare incontri ben remunerati.

Nel 2003, Jones lasciò vacanti i titoli in suo possesso per tentare l’avventura nei massimi, come aveva fatto Spinks a suo tempo. A differenza di Spinks, però, Jones non sfidò il campione lineare, ma si accontentò cautamente di un campione di sigla. Il campione indiscusso era l’inglese Lennox Lewis, che deteneva anche il titolo WBC. Gli altri titoli erano così distribuiti: quello IBF a Chris Byrd, quello WBA a John Ruiz, quello WBO a Corrie Sanders. Dei quattro campioni, l’unico di alto livello era Lewis, che era peraltro anche quello legittimo. Byrd era un mancino veloce di mani e abile in difesa, ma inadeguato sul piano fisico; anche Sanders era mancino, e aveva un sinistro pesantissimo a fronte di una tecnica modesta. Il peggiore del lotto era sicuramente John Ruiz, “the quiet man” (“l’uomo tranquillo”, così chiamato per il suo temperamento pacioso, che faceva da contrappunto a quello vulcanico del suo allenatore Norman Stone): se dovessimo elencarne le qualità, non sapremmo esattamente quali indicare. Ruiz non era potente, né veloce, né tecnico oltre la media: era un “average fighter” che, nella carriera, ottenne ben più di quanto avrebbe meritato. Jones non ebbe dubbi e scelse lui. Dovette accumulare dieci chili di muscoli per acquistare una mole più vicina ai parametri fisici dei massimi, ma questo sviluppo forzoso della muscolatura non inficiò la sua velocità. Del match tra Jones e Ruiz, datato 2003, si ricordano solo il prudente mordi-e-fuggi attuato da Jones e le tremende sfuriate che Ruiz doveva sopportare quando tornava all’angolo, dove l’attendeva uno Stone sempre più imbufalito con il passare dei round. Jones vinse nettamente e considerò compiuta la missione: il suo obiettivo non era consacrarsi campione indiscusso, ma era conquistare un titolo di sigla che lo consegnasse formalmente agli almanacchi come un campione dei massimi. Per la cronaca, solo l’anno dopo, il peso welter (ex superpiuma) Oscar De La Hoya sfidò il campione indiscusso dei medi Bernard Hopkins per la riunificazione totale del titolo mondiale. De La Hoya aveva già conquistato un titolo di sigla che gli permetteva di figurare come un campione dei medi, ma il suo obiettivo era consacrarsi campione lineare. Il “Golden Boy” finì KO, com’era preventivabile, ma fu applaudito per il coraggio.

Quando Jones rientrò nei ranghi dei mediomassimi, sfidò il campione IBF e WBC Antonio Tarver. Il ritorno nella categoria naturale gli costò la perdita di ben venticinque libbre di peso. Jones, che era dato favorito 8 a 1 dagli allibratori, faticò parecchio e vinse solo di un soffio, benché uno dei tre giudici gli riconoscesse un vantaggio smaccatamente generoso. Tarver reclamò prontamente una rivincita e la ottenne: quel match passò alla storia come una delle maggiori sorprese pugilistiche registrate negli anni Duemila, perché Jones fu messo KO nel secondo round con un tremendo sinistro incrociato. Quella sconfitta segnò il declino definitivo di Roy Jones Jr: i giochi con la bilancia avevano finito per minarne irrimediabilmente il fisico.

Le differenze tra gli anni Ottanta di Spinks e i Novanta di Jones sono evidenti. Spinks fu campione lineare sia nei mediomassimi sia nei massimi, mentre Jones non lo fu in nessuna delle categorie che frequentò: non nei medi, non nei supermedi né tantomeno nei massimi, e neanche nei mediomassimi. Spinks affrontò tutti i pugili che avrebbe dovuto affrontare e forse anche alcuni che non avrebbe dovuto, mentre Jones ne trascurò diversi. Le sigle maggiori passarono da due a quattro, con riflessi devastanti sulla credibilità della boxe: gelose ciascuna del proprio orticello, si fecero sempre più dispotiche e capricciose nell’ordinare provvedimenti che obbedivano a interessi privati piuttosto che a logiche sportive. In un contesto che privilegiava sempre più gli affari a discapito del merito, i pugili degli anni Novanta, rispetto a quelli della decade precedente, erano naturalmente incentivati a curare il proprio interesse piuttosto che a seguire l’elementare norma sportiva per cui i migliori devono affrontare i migliori. E quella tendenza, allora solo agli inizi, si è rapidamente accentuata negli anni successivi, fino a raggiungere i livelli attuali.

RIFERIMENTI

BOXE RING WEB

EDITORE FLAVIO DELL'AMORE

Autorizzazione

Tribunale di Forli' n. 2709

CHI E' ONLINE

Abbiamo 884 ospiti e nessun utente online

FORUM

logo boxeringweb2017c

Il Forum a cura di NonSoloBoxe

Per discutere di Boxe e non solo...

CLICCA SUL BOTTONE
PER ACCEDERE AL FORUM

go