Il coraggio è resistenza alla paura
e dominio della paura,
ma non assenza di paura (Mark Twain)
Jab sinistro, gancio destro.
Montante destro.
Gancio sinistro, ancora gancio sinistro.
Saltella sulle gambe. Le spalle si muovono lentamente, seguono un ritmo che viene da lontano. Ascolta una musica che solo lui può sentire.
Non ho conosciuto Mazzinghi quando si batteva assecondando il ritmo della gloria. Quando conquistava i titoli mondiali.
Ragazzo in un quartiere popolare di una Roma vivace e ottimista, negli anni Sessanta, prendevo ancora a pugni la vita, sperando che non si aprissero altre ferite. Ero stanco di sentirmi sott’acqua. Mi mancava il respiro, ma sapevo che nel momento stesso in cui mi fossi fermato, sarei finito.
Sandro quel conto l’aveva già pagato.
Finta, rientra.
Jab sinistro.
L’altro sbarella.
Un altro jab sinistro.
Diretto destro, gancio sinistro.
Non si ferma fino a quando l’avversario non crolla al tappeto.
Ho incontrato più volte Mazzinghi nei giorni della serenità, nella casa a Cascine di Buti, in un bel villino con le rose in giardino e vigneti tutt’attorno. Dietro ci sono i monti di Pisa, davanti lo sguardo spazia sulla piana di Pontedera e quella di Settignano. Una casa ben messa, con la passatoia in velluto rosso, candelabri di legno alla sommità delle scale, quadri che raccontano la Toscana, altri che immortalano le gesta del campione, ne ricordano le vittorie. È lì che ho scoperto un uomo che aveva un gran bisogno di raccontarsi. Gli serviva per ritrovare valori che altri non gli avevano riconosciuto. Era convinto di non essere stato capito.
Ogni volta che lo colpiva con un montante,
quello strillava e si lamentava.
La conferma ai dubbi di Sandro (sopra a sinistra, nella foto di Azzurra Minuti assieme al suo amico Alberto Brasca) arriva in una bella serata di luglio del 2018, a Pontremoli. Sono lì, assieme ai suoi figli David e Simone, perché “Anche i pugili piangono” ha vinto il Premio Selezione Bancarella Sport.
Paolo Liguori, gran cerimoniere dell’evento, mi chiede di parlare di Mazzinghi, accompagnando l'invito con queste parole: “Tutti quelli che hanno seguito il pugilato di quegli anni ricordano le differenze, ricordano di un Benvenuti fuoriclasse e di un Mazzinghi indomito”.
E lì che scatta la molla, è come se fossi stato colpito da un pugno che non avevo previsto. Reagisco d’istinto e racconto tutto d’un fiato quello che ho imparato di Sandro, racconto come lo vedo io.
Avanza guadagnando centimetro dopo centimetro,
muovendo le braccia come se fossero due stantuffi,
senza concedersi un attimo di tregua.
“Bisogna intenderci su cosa sia il talento. Apparentemente, per quello che è il giudizio comune, Sandro era senza talento. Per me, invece, ne aveva tantissimo. Ne aveva soprattutto uno, speciale. Era nato combattente e non aveva paura di nulla. Un talento grandissimo che lui ha saputo sfruttare sul ring. Non temeva niente perché fin da bambino aveva conosciuto la paura vera.
Era stato sotto i bombardamenti a Pontedera. Le bombe scoppiavano poco lontano da lui. La mamma lo proteggeva con il corpo, scappavano via lungo il fiume Era, abbracciati gli uni all'altra, su una barca trovata sulla riva. Quelle bombe avevano appena distrutto i suoi sogni di bambino. Fino a poco prima giocava nel cortile sotto casa, ora quel cortile non esisteva più. Improvvisamente era diventato grande, adulto.
Aveva capito cosa fosse la paura, ma l’aveva vinta, era andato avanti. E sul ring tutto questo si vedeva, perché Sandro nella vita e sul ring era la stessa persona.
Sandro non aveva la tecnica di Benvenuti, ma andateci voi a combattere contro uno che viene sempre avanti, incurante di qualsiasi cosa faccia l’altro uomo con cui divide il quadrato.
Uno che restringe il ring fino a farlo diventare di un metro per lato, che ti chiude all’angolo, ti pressa, continua a colpirti, non si ferma mai.
Sandro, senza talento, è stato campione del mondo dei superwelter. Perso il titolo, ha ricominciato daccapo. È diventato campione d’Europa.
Senza talento, ha disputato forse il più importante match mai combattuto in Italia. Davanti a quarantamila spettatori a San Siro, in un’autentica corrida, ha battuto il coreano Ki Soo Kim. Un incontro pazzesco, intenso, condotto a ritmi folli. Un match che un pugile può fare una sola volta nella vita, perché lì si consuma tutto quello che un uomo ha dentro.
Ma lui era nato per combattere, senza paura, e quel match l’ha vinto. Ha portato a casa un altro titolo mondiale.
Questo era Sandro Mazzinghi, il pugile senza talento”.
Leggo sul web una definizione di fighter, o meglio in-fighter come gli inglesi chiamano quelli come lui. E mi sembra sia una descrizione perfetta di quello che Sandro sapeva fare sul ring.
“L’in-fighter boxa all'interno della guardia dell'avversario, è un pugile dall'aggressione continua, sempre addosso al rivale, spara continue raffiche e intense combinazioni di ganci e montanti. Agisce meglio a distanza ravvicinata perché generalmente è di statura più bassa dei rivali. Schiva i colpi e si infila nella guardia dell'avversario, abbassandosi fino alla vita per passare sotto o di fianco ai colpi in arrivo. Le schivate fanno andare a vuoto il rivale causandone lo sbilanciamento, e consentono all'in-fighter di passare sotto il braccio disteso”.
Quando Sandro partiva, scatenava l’inferno.
L’in-fighter di Pontedera se ne è andato via per sempre il 22 agosto del 2020. Domani avrebbe compiuto 85 anni. Lui non c'è più, rimangono i ricordi. Quelli di un pugile di talento, una leggenda.
Venerdì 6 ottobre gli renderemo omaggio raccontando la sua storia. In mattinata una piazza di Pontedera sarà intitolata al campione. Sabato 7, Marcello Lippi riceverà il Premio Nazionale Alessandro Mazzinghi.
“Il babbo merita tutto questo. Anzi, di più" dicono i figli David e Simone. Donna Marisa, moglie di Sandro per oltre mezzo secolo, li guarda come solo una mamma sa fare.