di Gualtiero Becchetti
Era la prima volta che scavalcava le corde del ring indossando l’accappatoio con il proprio nome scritto sulle spalle. Si osservò le mani e i guantoni gli sembrarono incredibilmente piccoli rispetto a quelli che gli erano familiari.
Era la prima volta che sotto le luci abbaglianti dei riflettori, guardandosi attorno, prendeva coscienza che c’era tanta gente proprio e soltanto per lui.
Si sentì piccolo-piccolo. Senza caschetto a mascherargli il pallore del viso, senza la canottiera a coprirgli il torace, si sentì nudo.
Nudo fuori e nudo dentro.
Ebbe il timore d’essere inadeguato; ebbe paura di non avere abbastanza muscoli per essere lì, di avere troppe incertezze per essere lì.
Cercò di gonfiare il petto e di contrarre le braccia per sembrare più grosso. Alzò la testa per sembrare più coraggioso.
L’arbitro gli fece cenno di avvicinarsi al centro del quadrato e gli parve di vivere un sogno, d’essere sospeso a mezz’aria, d’essere precipitato in un’avventura troppo grande, difficile, angosciante…
Davanti a sé trovò se stesso nelle sembianze dell’ “altro” e lo fissò negli occhi, ma non per spaventarlo come molti pensarono, bensì per trarre coraggio dalle sue medesime debolezze.
Rientrò al proprio angolo, sentì la mano del maestro colpirlo sulla spalla in segno d’incoraggiamento e udì infine il suono del gong.
Assunse la posizione di guardia, tese il braccio sinistro a sfiorare quello dell’ “altro” in segno di saluto.
Un solo istante, un momento magico e indimenticabile per la vita intera.
E capì d’essere ormai un uomo.
Capì che la battaglia era iniziata…E che lui, comunque, “c’era”.