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De Carolis: dubbi, domande, rabbia, grande delusione

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“Ero una perfetta macchina di grande cilindrata, ma il pilota pensava ad altro. Senza energie..."

 

Erin ha otto anni. È una bambina dolcissima.
Quando il papà è rientrato a casa dalla Germania lo ha travolto con un grande abbraccio, ha poggiato la testa sulla sua spalla e gli ha sussurrato qualcosa all’orecchio.

Papà, se vinci o se perdi ti voglio sempre bene. La cosa più importante è stare tutti assieme”.

Di solito piange quando lui è sconfitto. Non perché abbia paura, ma solo perché le dispiace vederlo triste.

Un attimo e poi all’abbracio si è unito anche Noah, tre anni e mezzo, un bambino vivace e attento.

Il papà si chiama Giovanni De Carolis e di professione fa il pugile.

Sabato notte sul ring di Potsdam ha perso per kot 12 il titolo Wba dei supermedi contro Tyron Zeuge.

È stata una serata storta” ha detto a caldo.

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Ho cercato di saperne di più.

Non ero al meglio, non avevo la fiducia che mi aveva accompagnato in altre occasioni”.

Problemi in fase di preparazione?

Nessuno. Avevo fatto tutto meticolosamente, avevo seguito i consigli del maestro, del preparatore. Fisicamente stavo bene”.

Troppa tensione?

Neppure questo”.

E allora? Aiutami a capire.

Era nella testa che qualcosa non andava. Non si è mai accesa la scintilla che mi ha aiutato in altre occasioni. Mi sono fatto troppe domande, ho avuto troppi dubbi. E più pensavo, più le cose andavano male”.

Un pugile è come ogni uomo, porta sul lavoro tutto se stesso. Pensieri e incertezze comprese. La vita non può scivolarti addosso senza poi lasciare tracce una volta che sali sul ring.

Dovrebbe invece essere così. Purtroppo sono uno che sta molto attento ai suoi equilibri e stavolta non li ho avuti. Nel match avrei dovuto pensare solo al combattimento, alla boxe. Non ci sono riuscito. Sia chiaro, la responsabilità è mia. Sono stato io a sbagliare, a commettere l’errore di farmi troppe domande e non riuscire a rendere al massimo. Ma non sono una macchina, sono un uomo e alla fine ho pagato proprio questo”.

Come racchiuderesti in una sola frase il giudizio sulla tua prestazione?

Ero come una macchina di altissima cilindrata guidata da un pilota che stava pensando ad altro”.

Dopo la prima metà del match è sembrato che fossi in affanno.

Era vero, ma non fisicamente. Tanto per restare nel campo motoristico, ero una macchina che, da un foro nel serbatoio, goccia dopo goccia stava perdendo tutto il carburante. Mi stavo svuotando di energie e purtroppo me ne accorgevo”.

Quando hai cominciato ad avere questa sensazione?

Da subito. Dall’inizio del match. E non puoi permetterti di boxare al 50% in un incontro per il titolo mondiale”.

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Ma fino alla settima i cartellini dicevano che eri avanti nel punteggio.

Facevo automaticamente quello che dall’angolo mi diceva Italo (Mattioli, il maestro ndr), ma non ci credevo fino in fondo. Ci ho messo tanto cuore. Boxavo più di rabbia che di tecnica”.

La discesa è cominciata all’ottavo round con tre ganci sul volto ed è proseguita nel decimo con un montante sinistro al fegato. Sono ricordi da incubo?

Sono sincero. Non ho avuto la sensazione di avere subìto colpi pesanti. Quel montante non è stato una coltellata al fegato, quei ganci non mi hanno scosso. E lo dico senza presunzione, con grande schiettezza. Era quello che avevo nella testa che non andava”.

E che c’era nella testa?

Dubbi, domande”.

Poi è arrivata l’ultima ripresa. Come ricordi quel momento?

Come una fase di grande amarezza. Dopo il primo conteggio mi sono rialzato arrabbiato, scoglionato. Lui è tornato all’attaco e io sono scivolato sulle corde. Ero veramente affranto, deluso. Poi l’arbitro ha detto che era finita”.

Ho avuto una curiosa sensazione, mi è sembrato che quel momento tu l’abbia vissuto quasi come una liberazione da una situazione che ti faceva impazzire perché non riuscivi a controllarla. Mi sbaglio?

No. Di certo non avevo alcuna intenzione di lasciare. Ma avevo dentro una sensazione strana. Mi ero accorto che non andavo, che era una serata storta. Oltre alla pesantezza del risultato, capivo che non ero riuscito a difendere il titolo al meglio delle mie possibilità. Nonostante mi fossi allenato al massimo e non avessi trascurarato nulla. Quando l’arbitro ha fatto il gesto che indicava la fine del match mi sono sentito contemporaneamente deluso, arrabbiato e sollevato. Difficile da spiegare”.

La gente del pugilato ti è comunque stata vicina.

Quelli che mi stanno accanto sono persone che mi vogliono profondamente bene, che mi dicono parole che servono a farmi stare meglio. Per questo adesso non provo rabbia. La gente al di là del risultato mi ha voluto scrivere parole di conforto, di stima. E questo mi ha aiutato”.
E adesso?

Dopo la prima sconfitta da professionista ho saputo rialzarmi e ricominciare. È quello che farò anche stavolta”.

In Germania?

Quasi sicuramente. Ho firmato un accordo con Sauerland, avrei combattuto ancora per lui sia che avessi vinto sia che avessi perso. E così sarà. Ho una grande voglia di ricominciare, di tornare in palestra, di ripresentarmi sul ring per il titolo”.

Chiuso il contratto con Davide Buccioni ora sei alla ricerca di un nuovo manager. Hai già fatto la scelta?

Sto valutando la situazione assieme a Italo Mattioli. Vedremo. Spero di trovare qualcuno capace di presentarmi un programma concreto, fatto di opportunità ben definite”.

Giovanni De Carolis è già rientrato in palestra.
Ha aperto la porta di Next, il locale di proprietà a Monterosi, ed è stato travolto dall’affetto dei suoi allievi. Bambini, ragazzi, anziane signore, uomini di una certa età. Lavora lì da nove anni e ha trasformato quello spazio da una palestra di pugilato a un luogo dove avere un rapporto migliore con il proprio fisico.

Noah ed Erin sono da qualche parte che giocano. Un abbraccio al papà, poi tornano a correre.
Le giornate riprendeno lentamente con il loro ritmo regolare.
Nessuno può colpire duro come fa la vita, perciò andando avanti non è importante quanto forte tu colpisca, l’importante è come tu sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti. Così sei un vincente!
Sylvester Stallone lo dice nel film Rocky Balboa, ma in fondo può essere benissimo la chiave di lettura della nostra vita. Soprattutto di quella di un pugile…

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