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Bordo Ring

Trappola portoricana

koverTrent'anni fa Loris Stecca difendeva il mondiale supergallo Wba a Portorico contro Victor Callejas. Ecco il racconto di quella notte infernale. Il 26 giugno il romagnolo dovrà difendersi dall’accusa di tentato omicidio premeditato...

MAGGIO, l’estate deve ancora arrivare ma da queste parti non è certo un problema. Ci sono 35° e l’umidità è arrivata al 95%. L’aereo è appena atterrato. Sono partito da Roma e via Francorforte adesso sono a San Juan de Portorico, aeroporto Isla Verde. Una cappa di aria calda mi cala addosso appena scendo dalla scaletta.

Prendo un taxi che si avvia lentamente lungo la superstrada Baldorioty de Castro. Arriviamo finalmente in albergo. Entro in camera, poso i bagagli, mi faccio una doccia veloce ed esco.

Mi muovo senza fretta e ho la sensazione di essere dentro un barattolo di marmellata. Il caldo umido mi trasmette un senso di sporco, di appiccicoso. Avverto un fastidio crescente.

Mi guardo attorno, il posto è bello. Gli indigeni lo chiamano Isla del Encanto. Rigogliosa selva tropicale, spiagge senza fine, il mare.

Venendo in città ho incrociato un cartellone pubblicitario.

“Bienvenidos a Puerto Rico, Estado libre asociado a los Estados Unidos.

Tre milioni di abitanti, quasi la stessa cifra di nativi oggi vive negli Stati Uniti. Non possono eleggere il presidente e in contropartita non pagano le tasse federali. Sembra che gli stia bene così. Al referendum per entrare nell’Unione hanno votato per il “No.”

L’hotel di Stecca è in centro. Loris mi aspetta lì. E’ sbarcato nell’isola da una decina di giorni e ha una voglia matta di vedere italiani che non siano quelli del suo clan.

loris-stecca

E’ in poltrona.

Guardo con curiosità questo giovanotto che appena tre mesi fa è riuscito a diventare campione del mondo, l’unico che oggi l’Italia abbia. Ha conquistato il titolo grazie a una boxe coraggiosa, istintiva. E’ uno che sa soffrire e ha una forza di volontà che non conosce limiti.

Indossa una camicia in stile hawaiano, ha i capelli tagliati cortissimi, uno sguardo da duro. Il mento gli scappa un po’ in avanti, le sopracciglia disegnano il suo stato d’animo abbassandosi o alzandosi fin quasi a congiungersi con l’attaccatura dei capelli. Sta vivendo una continua altalena emotiva tra eccitazione e depressione.

Sente la nostaglia di casa. Chiama due volte al giorno la moglie e una volta è lei a telefonare. Passa la maggior parte del tempo in camera. Qualche canzone, poche letture e troppo tempo per pensare. E questo rappresenta un pericolo alla vigilia di un match importante.

La dieta per non bucare il limite dei supergallo è spietata, soprattutto se si considera il carico di lavoro a cui quotidianamente si sottopone.

A colazione trecento grammi di latte e tre fette biscottate con burro e marmellata. Alle 10 una spremuta d’arancio. A mezzogiorno ci sono cinquanta grammi di spaghetti con burro e olio extravergine, più una spruzzata di parmigiano. Per secondo un etto di carne macinata. Un frutto e un bicchiere d’acqua chiudono il pasto. La sera 50 grammi di spaghetti, altrettanti di carne e un frutto. Ogni giorno manda giù anche due grammi di vitamina C.

L’idea è del dottor Cremonini, il dietologo che ha in cura il riminese. Dice che gli è venuta in testa parlando con il professor Conconi. E’ la stessa che ha seguito Francesco Moser quando ha preparato il record dell’ora.

Lo sguardo di Loris è rabbioso, non sembra che le cose vadano bene.

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“Mi muovo in un clima di intimidazione, di litigi continui. Ivan, il figlio del maestro Ghelfi, e mio suocero Lillo Platania sono quasi venuti alle mani con Hector: il fratello di Victor Callejas. Parole grosse, insulti, minacce di sistemare la cosa con una scazzottata senza regole. Qui hanno già deciso tutto. Sperano che mi crollino i nervi e perda ancora prima di cominciare. L’unica cosa che mi chiedono in continuazione è a che ripresa finirò ko. Capito in che ambiente mi sto muovendo?”

Domani andrò a dare un’occhiata. Voglio constatare di persona cosa stia accadendo.

La sera sono a cena con Umberto Branchini e due colleghi. Teo Betti del Messaggero e Claudio Colombo del Corriere della Sera. Parliamo di pugilato, di Portorico. Una pina colada come aperitivo, poi pesce e tante chiacchiere.

Il pomeriggio del giorno dopo lascio San Juan in direzione Guaynabo, trenta chilometri a sud. Un sole infuocato mi fa compagnia.

Loris si allena al Metz Pavillon. Dall’altra parte della strada c’è la casa di Luvi Callejas. Non deve fare altro che chiudersi la porta alle spalle, camminare per meno di venti metri, attraversare la piccola via ed eccolo dentro al Palazzetto dove si disputerà il mondiale.

Entro. In fondo al parterre c’è animazione. Sento urla, insulti, minacce. Mi faccio largo a fatica tra una decina di scalmanati e sono nella stanza dove si sta preparando Stecca. E’ nell’anello più grande, al pianterreno. Venticinque metri quadri. Per tre lati c’è il muro, il quarto lato è costituito da una serie di sbarre che trasforma quel luogo in una gabbia. Assai simile alla cella di una prigione. Aggrappati alle sbarre i tifosi di Callejas insultano il campione.

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Va avanti così da dieci giorni. Loris aveva ragione, c’è da perdere la testa. I fischi sono la cosa più gentile che arrivi alle sue spalle. Nonostante tutto qualche amico è riuscito a farselo. Luis, ad esempio. Fa il posteggiatore ed ha scommesso le mance di una settimana sulla vittoria dell’italiano. E poi c’è il barbiere dell’albergo. Taglio e manicure gratis. Anche se a dire il vero quando ho visto l’acconciatura di Loris non ero del tutto convinto che quella fosse l’opera di un amico.

Dentro il Metz Pavilon circolano strani tipi.

Victor Rosa è un dirigente della boxe portoricana. Qualche tempo fa si guadagnava da vivere facendo il cantante lirico. Mi ha ricordato cento volte che nel1974 si è esibito al Regio di Parma.

Romi Carpetti canta con i Chic Gadgtes. Quelli che nel 1982 hanno inciso “Dada Mundial” con il tormentone “Siamo tutti figli di Bearzot”. La sera del match suonerà la chitarra e intonerà l’Inno di Mameli.

C’è Giovanni Cordero Bonini. E’ un bambino, ha nove anni e fa il manager di Victor Callejas. Non sarebbe regolare, ma nessuno osa contestare quello che dice il suo papà Pepito Cordero.

Torno a San Juan. La sera passeggiando con Claudio Colombo mi ritrovo sotto l’albergo di Stecca. Davanti all’ingresso c’è una grande macchina scoperta con lo stereo a tutto volume. Su quella facciata ci sono le finestre del campione che si sveglia. Furioso urla a quelli di farla finita. Devi darsi da fare di ugola e minacce prima di convincerli ad andare via.

E’ dura essere venuti quaggiù per battersi contro l’idolo di casa. Un picchiatore che ha chiesto aiuto all’isola intera.

La dieta non ha avuto gli effetti sperati. La mattina del peso Loris è costretto a una lunga corsa in macchina, con i finestrini chiusi e il condizionatore spento. Una sauna sarebbe stata meno calda e umida. Alla fine riesce miracolosamente a fermare la bilancia a 122 libbre, il limite della categoria.

K copia

L’avventura del romagnolo si chiude con un maledetto kot a 2’58” dell’ottavo round. Montante sinistro, diretto destro, ancora montante sinistro di Callejas e Loris giù, distrutto nel fisico e nella mente.

“Ero terrorizzato dall’ atmosfera. Non cerco scuse, però questo lo voglio dire: sapete come sono andato a battermi contro Callejas nella notte del mondiale? Su una macchina di poliziotti portoricani che mi hanno prelevato con la forza, da solo, senza il mio clan. Quando sono sceso c’ erano tremila persone attorno a me e contro di me che battevano i piedi. Ho cercato di rifugiarmi nello spogliatoio del campione del mondo, il mio. Non c’ era.”

Pacche sulle spalle, complimenti e tanti auguri. Ma solo dopo la sconfitta.

Forse non sarebbe cambiato il finale anche se gli amici portoricani non avessero insultato Stecca, non l’avessero costretto ad allenarsi in una gabbia, non l’avessero svegliato in piena notte. Forse, chissà…

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