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Bordo Ring

Boxe e superstizione

bramble 2Le mutande di Kocsis, il serpente di Bramble, il carbone di Humez. Jannilli pregava i suoi piedi, Adriano Sconcerti non abbandonava mai il ciuccetto del figlio. Il ritratto miracoloso di Lou Ambers, Cotena e il sacchetto della maga...


Umberto Branchini aveva sempre una storia da raccontare. Ce ne stavamo spesso a parlare la sera prima dei match, forse era così che il Cardinale allentava la tensione. Oggi mi è tornata alla mente una chiacchierata fatta a New York, al tavolo di Gallagher: una steakhouse che era diventata il ritrovo di pugili, manager, coach e giornalisti. Dopo una bella bistecca e un paio di birre, le avevo bevute io sia chiaro, Branchini aveva cominciato come faceva sempre prima di avventurarsi in un nuovo racconto.

La sa la storia di Azevedo?

Ci davamo del lei, come si usava una volta tra gentiluomini.

Everaldo Costa Azevedo dunque. Portava in un taschino cucito all’interno dei pantaloni la polvere della sua terra, l’Argentina. Ma non era questo l’aspetto interessante della vicenda. Il giovanotto aveva un’altra curiosa abitudine. Il signor Umberto l’aveva scoperta nel settembre del 1977, alla vigilia del mondiale dei pesi welter contro Carlos Palomino.

Branchini alloggiava nella stanza accanto a quella del pugile, in un grande albergo di Los Angeles.

Il sospetto che qualcosa non andasse, gli era venuto quando aveva visto del fumo uscire da sotto la porta della camera di Azevedo.

Era entrato e aveva visto sparsi sul pavimento 28 grossi ceri. Erano tutti accesi e poggiavano su grandi piatti di ceramica. Il fuoco delle candele aveva appena incendiato la carta igienica del bagno e stava raggiungendo le tende della finestra.

Il manager era riuscito a spegnere il tutto prima che la follia del suo pugile provocasse danni maggiori.

Il Cardinale si era aperto in un sorriso, lo stesso che faceva ogni volta che si trovava davanti a un dolce. Era il campione del mondo dei golosi. Mi aveva appena raccontato una storia che accomunava i pugili e le loro manie scaramantiche.

La superstizione ha sempre trovato terreno fertile nella boxe.

cotena

Antal Kocsis, oro all’Olimpiade di Amsterdam 1928, si allenava portando sulla testa le mutande del nipotino. Se le era messe, per farlo ridere, alla vigilia dei Giochi. Continuando a scherzare le aveva portate per l’intera durata della preparazione. La vittoria l’aveva convinto che anche le mutandine avevano contribuito al successo.

E così aveva preteso che il manager Steve Klaus le legasse all’angolo prima di ogni combattimento. La prima volta che Klaus aveva dimenticato di farlo, Kocsis aveva perso l’incontro.

Una coincidenza, chiaro. Nessun segnale recondito.

Elio Cotena (foto, a destra) si era fatto convincere dalla moglie Maria Bellopede ad andare da una maga. La veggente gli aveva dato un sacchettino che il napoletano metteva nei calzettoni prima di salire sul ring.

Quel sacchettino aveva fatto l’esordio ufficiale il 12 febbraio 1975, la sera in cui Elio era diventato campione europeo dei pesi piuma battendo Josè Antonio Jimenez a Napoli. Aveva vinto per kot, lui che notoriamente aveva i piumini nei guantoni. La prima volta che il dono della maga era stato dimenticato in albergo Cotena aveva perso il titolo. Era il 3 dicembre del ’76 e Pedro Jimenez lo aveva messo kot a Madrid.

Tony Canzoneri, campione del mondo dei piuma, leggeri e superleggeri a cavallo fra il 1928 e il 1935, aveva in pratica “adottato” un africano. Si chiamava Buzzy Thomas, era un minimosca e aveva l’unico compito di fare con il suo amico la prima ripresa di guanti in ogni fase della preparazione.

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Duilio Spagnolo, campione italiano dei pesi massimi a metà anni Quaranta, si faceva accompagnare ovunque da un nano. Rocky Graziano (foto) era convinto che chiunque si pettinasse nel suo spogliatoio, gli portasse sfortuna. Maurizio Stecca saliva sul ring con un sassolino legato nelle mutandine. Charlez Humez, europeo dei medi, si portava dietro un pezzettino di carbone. Nei pantaloncini di Fighting Mack c’era il frammento di un osso di leone. Beau Jack portava sempre con sè il Record Book. Lo aveva con lui anche in guerra: una pallottola sparata dai giapponesi era andata a conficcarsi proprio in quel libro che racchiudeva le carriere di ogni pugile, salvandogli la vita. Ma qui siamo appena entrati nella leggenda, la storia della boxe è infatti piena di pugili salvati da una pallottola grazie allo spessore del libro dei record…

Fernando Jannilli prima del combattimento pregava i suoi piedi di farlo vincere. Roberto Proietti non si sentiva sicuro se la valigetta non era stata preparata dalla mamma. Adriano Sconcerti portava nella borsa il ciuccetto del figlio Marco, nato nel 1960: l’anno in cui aveva messo sotto contratto sia Sandro Mazzinghi che Piero Del Papa. Elio Ghelfi per vent’anni ha usato all’angolo lo stesso asciugamani che gli aveva regalato Helenio Herrera, non a caso soprannominato “il mago”.

Livingstone Bramble (foto in alto) aveva usato due “tattiche” diverse alla vigilia degli incontri mondiali contro Ray “Boom Boom” Mancini. Nel primo si era affidato al dottor Doo: un amico che si era travestito da jettatore, tutto di nero dal cappello alle scarpe. Nel secondo aveva usato una bamboletta trafitta dagli aghi, secondo i dettami degli antichi riti voodoo.

Aveva vinto in entrambe le occasioni.

Bramble aveva un’altra curiosa superstizione. Era convinto che i serpenti gli portassero fortuna. Così girava per le palestre con un serpentone annodato al collo. Ricordo ancora quella volta a Reno, alla vigilia del secondo match con Mancini, quando aveva inseguito per tutto il locale Maurizio Stecca puntandogli contro il serpente. Icio urlava terrorizzato, noi con un pizzico di crudeltà ridevamo…

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Il peso massimo Cleveland “Big Cat” Williams (foto) doveva battersi a Porthcawl, Inghilterra, contro il gallese Dick Richardson. Alle operazioni di peso lo avevano atteso invano. Il fatto era che mentre era sdraiato sul letto nella sua stanza d’albergo aveva sentito una voce che gli aveva detto di non salire sul ring quella sera. Il match era stato spostato di un mese. Per fortuna in quell’occasion nessuna voce si era messa tra lui e il combattimento. E quel match lo aveva anche portato a casa.
Lou Ambers, al secolo Luigi D’Ambrosio, tornando a Herkimer, nello stato di New York dove era nato, aveva incrociato un caricaturista napoletano che  lo aveva quasi costretto a farsi fare un ritratto. Il pittore glielo aveva poi regalato accompagnandolo con una profezia: “Quando ti batterai nella rivincita contro Tony Canzoneri portalo con te all’angolo e vincerai.”
Il match era stato programmato per il 7 maggio del ‘37. Erano andati a prendere Ambers all’albergo tre ore prima dell’incontro. Dopo un po’ che erano in macchina e si stavano dirigendo verso il Madison Square Garden, il pugile si era ricordato di avere dimenticato il ritratto in albergo. Aveva fatto tornare indietro l’auto, era risalito in camera e aveva recuperato il talismano. La caricatura era stata conservata nella tasca di uno dei suoi secondi per tutta la durata del combattimento. L’uomo d’angolo aveva il compito di farla toccare al pugile ad ogni intervallo di round. Inutile dire che Ambers quella sera  aveva vinto match, conquistando così il titolo mondiale dei leggeri.
Non ci credo, ma…

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