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La Boxe non é una guerra...

Morales Cano

Con frequenza capita d'imbattersi, soprattutto sui social network a carattere pugilistico, in commenti nei quali la boxe sembra vissuta più come una battaglia all'ultimo sangue che non una sfida tra due atleti per stabilire chi sia il più bravo. Sorge persino il dubbio che qualcuno, preso dall'esaltazione agonistica, non si renda conto che ciò che vede è "vero" e non una finzione cinematografica; che purtroppo non pochi di coloro che sono protagonisti sul ring hanno pagato e pagano talvolta un pedaggio carissimo; che gli "storici" nemici della boxe traggono spunto proprio dai suoi aspetti più cruenti e impietosi per emarginarla e relegarla nelle parti invisibili dei media. Le parole sottostanti le scrissi oltre due anni fa e ora le ripropongo, anche se non serviranno a nulla, per tracciare un confine che, a mio parere, é da rimarcare ogni giorno affinché nessuno lo dimentichi. Il pugilato è una disciplina "estrema", come molte altre. Proprio per questo va sempre mantenuta "al di qua" e non spinta "al di là". Altrimentì non é più Nobile Arte, ma altro...

Gualtiero Becchetti

(7 marzo 2016)- No. La boxe non é una guerra.
E’ la metafora della guerra. Il ricordo, l’ombra del più drammatico evento che l’uomo conosca. Ma resta pur sempre uno sport, sebbene ammantato dei colori, dei suoni, degli odori e delle emozioni delle antiche e mortali sfide nelle arene. Il pugile, quand’è pugile vero, è disposto a combattere sino allo stremo perché è fatto così. Non conosce resa, non conosce fuga. Nel cuore ha la misteriosa e rara scintilla che lo spinge ad andare oltre tutto ciò che è razionale e talvolta persino folle.

Ma la boxe non è una guerra…

Accanto a lui pensano e agiscono coloro che hanno il grave compito d’interrompere le sfide nel momento in cui la metafora della guerra sta per trasformarsi in guerra reale.
Sono l’arbitro, i secondi d’angolo e il medico. Custodi dell’incolumità di un atleta che ha diritto comunque ad altre opportunità, ad altre prove, ad un domani di pugile e di uomo.
Ad essi spetta il dovere di salvaguardare il giovane capace di tutto per il proprio orgoglio, persino di guardare negli occhi la dama nera che sin troppe volte è passata gelida sul ring nella secolare storia della Nobile Arte, sfregiandone gli uomini, l’immagine e i valori.

La boxe non è una guerra…

Noi, comuni spettatori di bordo ring attenti o distratti, documentati o inconsapevoli, interni o esterni al circo meravigliosamente stralunato della boxe, prima di parlare dovremmo riflettere mille volte, compiere sinceri esami di coscienza. Una cosa è assistere alle altrui imprese, altro esserne i protagonisti.
Possiamo noi decidere se il sapore di sangue che scende sulle labbra del pugile, se il senso di smarrimento che rende totalmente solo al mondo colui che è dinanzi al baratro, se la microscopica linea che divide la sconfitta dalla tragedia è ancora marcata, se l’angoscia per un crollo fisico e morale che travolge il giovane ormai perduto sono sopportabili o no? Lui solo, il pugile, sa come siano quei momenti terribili e infiniti; e dopo di lui, quelli che lo devono difendere. Lo devono difendere. Lo devono difendere…

La boxe non è una guerra…

E’ una fiaba che talvolta ti trascina in alto, tra le stelle. Più spesso in basso, a masticare la polvere del tappeto. Ma essa trova il proprio suggello d’ineguagliabile trittico di sport-arte-filosofia solo quando gli anni hanno ammorbidito ogni cosa. Vittorie e sconfitte. E delle une e delle altre gli stessi protagonisti potranno parlare con serena nostalgia, perché sono preziosi gioielli nello scrigno dei ricordi, avventure meritevoli d’essere state vissute.

Per essi, la boxe non è stata una guerra.

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