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Bordo Ring

Leone Jacovacci… Er Nero de Roma che sfidò Mussolini

 
Leone

Campione d'Italia e d'Europa

 

Articolo di Leonardo Pisani

 

All’organizzatore  venne a mancare il clou della serata; il pugile di colore che doveva affrontare il bianco era scomparso. Per caso notò un marinaio inglese; nero, muscoloso e gli chiese “Sai boxare? “.  “No” rispose  John Douglas Walker, afro-inglese, nato nel 1900 . “Hai mai fatto a botte? Continuò l’organizzatore. “Certo” rispose il nero e così iniziò la boxe. Pugno pesante e scarsa tencica, ma l’inglese di colore iniziò bene: era spettacolare. Ma anche misterioso. Ben presto per guadagnare cambierà nome diventando Jack Walker, pugile  afro americano perché erano più pagati. Era la sua terza identità cambiata, quando scappò da Trastevere si imbarcò come mozzo  spacciandosi per un indiano nella marina di sua Maestà Britannica. Dopo un naufragio chiese la cittadinanza britannica come John Douglas Walker, poi divenne Jack Walker afro-americano e con questo nome arrivò a Milano per affrontare Bruno Frattini.

Era il 22 aprile 1922, incontro sui 15 round. Frattini era il campione italiano dei medi, due anni dopo avrebbe vinto anche l’europeo. L’americano era assistito all’angolo da italiani, era arrivato solo. Incontro duro. Ad un tratto Jack Walker chiese in inglese all’angolo un po’ d’acqua. Ma non parlavano inglese e tardarono a porgere  la bottiglia. Allora l’americano nervoso gridò: “Ahooooooo e damme l’acquaaaaa”.  L’angolo sentì, il pubblico milanese sentì. Il nero americano parlava italiano, anzi parlava romanesco.

Dopo l’incontro fu risolto il mistero. Fu il nero stesso, anzi il mulatto, a svelare il mistero: “Ma che Jack Walker; me chiamo Leone Jacovacci e sò de Roma”.  In un altro incontro infuriato gridò al suo avversario: «c’hai er coraggio de ’na pecora».  Inutile er nero era romano doc… In effetti era così, anche se era nato a Pombo nell’allora Congo Belga il 19 aprile 1902 dall’agronomo romano Umberto al servizio di Leopoldo II e da una principessa babuendi: Zibu Mabeta. Un vero amore, dato che i due poi decisero di trasferirsi a Roma dove sarebbe cresciuto il piccolo Leone. La famiglia viene accolta benissimo dai nonni paterni per poi trasferirsi in contrada Le Querce a Viterbo.

jacovacci dapiccolo

 

Nel 1909 morì l’amata nonna paterna e Leone fu affidato prima ad una zia a Trastevere poi messo in collegio dove la sua pelle di bronzo iniziò a pesare. Cominciarono così le fughe fino a quella definitiva come mozzo fingendo di avere un’altra nazionalità.  Il "Nero che dava fastidio a Mussolini”, “Er nero de Roma”  fu presto adottato dai romani. Nella capitale la boxe aveva molto seguito, ma all’epoca era Milano ad avere il primato, con  Frattini e Bosisio e i fratelli Erminio e Giuseppe Spalla. I tifosi romani addottarano subito Er Nero di Trastevere, che divenne in poco tempo il loro idolo.

Nel 1926 mise ko il romano  Rinaldo Palmucci campione italiano dei mediomassimi, cominciando a costruire l’assalto al titolo italiano. Chiese la cittadinanza italiana in quanto figlio di italiano e cresciuto in Italia, la ottenne con enormi difficoltà.  Poi arrivò la prima occasione per il titolo dei medi  contro il tecnico Mario Bosisio nella sua Milano. L’incontro si svolse al Palazzo dello Sport,  era il 16 ottobre 1927. Jacovacci mise tre volte al tappeto Bosisio nel secondo round, si dimostrò superiore ma il verdetto fu un pari. Il titolo rimase a Milano. Il romano non si demoralizzò. Superò prima il futuro campione del mondo dei medi Marcel Thil, poi il forte Ted Moore e finalmente al suo centodiciottesimo incontro (questa volta a Roma, in quello che poi diverrà il Flaminio) affrontò di nuovo Bosisio,  in palio sia il titolo italiano che quello europeo. Era il 24 giugno 1928.

Bosisio e Jacovacci

Leone Jacovacci divenne il quarto italiano a conquistare il titolo europeo, il secondo di pelle nera. Una curiosità. Non esiste una foto di Jacovacci con il braccio alzato, lo stesso filmato dell’istituto Luce è tagliato al momento del verdetto. Leone non usava il saluto romano, salutava il pubblico e basta. Non amava il regime e non fu amato dal regime; anzi non era proprio gradito. La vincita del titolo fu il suo canto del cigno. Ormai aveva più di un centinaio di incontri alle spalle ma sentì ugualmente il peso del razzismo. La stessa Gazzetta dello Sport lo criticò facendo capire che un mulatto, un nero, non può essere campione italiano. 

Ma a Roma si cantava uno stornello : “nun t’arrabbià caro Bosisio, se Jacovacci t’ha rotto er viso”.

L’ostracismo nei suoi confronti fu tra le cause del suo veloce declino. A complicare le cose si aggiunse il distacco della retina.  Jacovacci  continuò a combattere vedendo con un solo occhio.

Ha sostenuto 154 incontri conosciuti, di cui 98 vinti (41 per ko), 39 persi (13 per ko) e 16 pareggiati. Da considerare anche alcune sconfitte dubbie come quella con Bruno Frattini ed altri. Il 12 agosto 1922 sostenne quattro incontri con quattro vittorie a Parigi nella categoria dei mediomassimi. Poi subì un rapido declino. Si trasferì in Francia, sposò la ragazza ebrea Berthe Salmon e all’arrivo dei nazisti le fece cambiare il cognome in Rouquet. Riprese il suo antico nome di John Douglas Walker, afro-inglese, e si arruolò nell’esercito britannico. Si trasferì in Inghilterra e per sopravvivere si diede al catch.

Negli ultimi anni della sua vita Leone Jacovacci ha vissuto a Milano lavorando come portiere in un condominio. È morto il 16 novembre 1983 all’età di 81 anni.

È apparso anche in un film: “Era lei che lo voleva!” del 1954, regia di Marino Girolami e Giorgio Simonelli con Walter Chiari e Lucia Bosè assieme ad altri pugili come Enzo Fiermonte, Aldo Spoldi Tiberio Mitri Egisto Peire Carlo Orlandi. La sua storia è stata narrata dall’antropologo Mauro Valeri nel libro “Nero di Roma” Palombi Editori.

 

Il Poeta Libero de Liberi gli dedicò questa lirica:

BREVE PETIZIONE PER UN NEGRO- DA PROVERBI (di Libero de Liberi)

Nacque al suono di tamburi tra gente guerriera, esili fusti di palma le sue gambe cresciute nel Congo.

Sulle piazze fastose del ring andò per gloria di pugni e oro non ebbe dal suo sangue.

Proclamato straniero alla civile nazione fu re dell’orchestra, sui marciapiedi servo le spalle vendeva e le mani, Belve e formiche dove nacque, asfalto e nebbia dove morì.

Per lui si apra il cielo come una vela sulla terra tutta candido mare.

Al suo ritorno negli eterni campi dove cantano gli apostoli seduti: “o Dio grande mostrati a noi”, e lo giudichi un albero fratello.

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