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Boxe&Dintorni

Attenzione! La boxe fa bene...Ma può fare anche molto male

PugilePenombra

di Gualtiero Becchetti

Nella boxe la vigilia é recita. E' il match la realtà!

PugileSolodi Gualtiero Becchetti

Aveva parlato, parlato, parlato...

Il tempo che passa e sconfigge tutti...

 PugileSconfitto

Un articolo di tre anni e mezzo fa. Vecchio, quindi, ma che talvolta merita forse di essere "ripassato" anche se non pretende certamente di essere un "capolavoro"...

Pugilato italiano: la riscossa solo quando rivedremo le file ai botteghini!

LoiOrtiz

(Milano 1960: Loi-Ortiz a San Siro)

di Gualtiero Becchetti

Alla fine, dopo complicate riflessioni, mi sorge il dubbio che la malattia n°1 del pugilato italiano non sia la scarsa copertura televisiva o le “brevi” riservate dai giornali o una maledizione degli dei dell’Olimpo, ma semplicemente la modestissima partecipazione di pubblico alle manifestazioni, sintomo incontestabile “che non gliene può fregar di meno”.
Per quale ragione le TV e i giornali, obbligati a rispettare criteri commerciali, dovrebbero concedere spazi ad una disciplina a cui manca persino il sostegno dei propri appassionati? Se la gente non attraversa nemmeno più la strada davanti a casa per andare a sedersi a bordo ring, perché dovrebbe invece sintonizzarsi su un canale televisivo o acquistare un giornale, ai quali interessa principalmente raccogliere pubblicità e “clienti”?
Non tantissimi anni fa, ad esempio, a Roma il pugilato lo si andava a vedere al PalaEur, a Milano al Palasport o al PalaLido, a Bologna nell’impianto di P.le Azzarita, ecc. Oggi invece è stato relegato in strutture di dimensioni molto più ridotte ma, nonostante ciò, quasi sempre apre il portafoglio alle biglietterie solo un numero di spettatori che una volta neanche avrebbe riempito l’ingresso di tali palazzi dello sport. E’ in atto purtroppo una corsa al ribasso, tanto che anche quelli che dovrebbero essere gli appuntamenti-super, dilettantistici e professionistici, vengono allestiti con preoccupante frequenza nella “periferia del mondo”, seguiti solo dagli addetti ai lavori, dai compagni di palestra e dai famigliari più stretti, in sedi sperdute dove talvolta nemmeno gli sparuti abitanti del luogo "mettono naso".
Si salvano qua e là le riunioni locali perché il nome di qualche atleta circola ancora per le strade e per i bar delle piccole realtà e finisce sulle pagine del giornale del posto, garantendo un afflusso di sportivi e curiosi che, in proporzione al numero degli abitanti, è molto più rilevante che non quello che si registra nelle metropoli, dove il pugilato se lo “filano” ogni giorno di meno per la concorrenza di altri sport e spettacoli che riempioni il calendario. Almeno quando il Covid non aveva ancora congelato la vita...
Il pubblico oggi non conosce i protagonisti e non ha quasi più cultura pugilistica; si sfoga principalmente su Facebook, contorcendosi in pallidi ricordi del passato e in fantasy-match che valgono "zero".
Si vive di ricordi e la boxe sta diventando in Italia sempre più uno sport di “nicchia”, in cui tanti addetti ai lavori “se la dicono e se la cantano” nel disinteresse delle persone comuni, le sole che potrebbero ridarle speranza e respiro.
I dati televisivi raccontano di una rapidissima e vertiginosa caduta verticale e se ieri si registravano cifre di telespettatori a sei zeri, adesso si stappa lo spumante per poche manciate di “pugilomani” da telecomando e meno male che c'é Dazn a tenere aperta almeno una finestra sui grandi eventi.
Ma é tanto difficile domandarsi perché in Europa ci sono Paesi dove il pugilato è risorto alla grande e nel volgere di breve tempo, mentre da noi é alla canna del gas? Le graduatorie europee e iridate indicano che i talenti sono rari come una bibita nel Sahara; le chiacchiere da Caffè dello Sport dimostrano che ormai nessuno sa cosa accade sui ring nostrani né tantomeno ne parla; i titoli internazionali che contano davvero (Europei e Mondiali tra i prof e le medaglie olimpiche tra i dilettanti...) sono da un pezzo rari come le pepite d'oro; lo spettacolo è a volte imbarazzante e ancor più imbarazzante il tentativo di spacciarlo come qualcosa di grandioso, urlando ai microfoni di qualche emittente di fortuna. Allora ci si rifà con immagini del piccolo schermo che arrivano da oltreconfine e paiono talvolta persino impietose se paragonate a quelle nostrane.
Bisogna ripartire subito e daccapo dal “campanile”, dalle manifestazioni in cui il ragazzino comincia a farsi amare dalla propria gente e a crescere per diventare un giorno, se ha talento e personalità adeguati, un atleta conosciuto e riconosciuto anche dalla massaia che appende il bucato in terrazza. O il pubblico italiano tornerà ad amare la boxe e a comprare il biglietto per affollare gli spalti attirato dal livello tecnico-agonistico dei match oppure non c'è speranza! Si devono offrire i mezzi e il tempo ai giovani per diventare competitivi, senza inchiodarli sin dalla prima giovinezza nel ruolo d’impiegati statali del ring, cosa umanamente comprensibile ma che cozza con il sogno di riavere un giorno qualche campione di alto livello. Si deve rilanciare il professionismo e favorirne l'accesso ai ragazzi quando sono ancora pieni di vigore, di sogni e di ambizioni. Non quando sono ormai spremuti e stanchi reduci di un dilettantismo di Stato prolungatosi come ai tempi dell'URSS e della DDR.
In sintesi, non la TV, non i giornali, ma i compratori di biglietti sarebbero la vera ed estrema ancora di salvezza della boxe verde-bianco-rossa! Se tornassero ai botteghini, tutto il resto (e le televisioni per prime) arriverebbe da solo. E senza pagarlo!
Infine, a proposito di “campioni”, sarebbe pure saggio usare con rispetto e con il contagocce tale termine. “Campione” era storicamente il più forte "in campo", il più valoroso dei guerrieri di un esercito eppoi tale nome è stato adottato anche per i “super” dello sport. E allora, prima i pugili diventino davvero campioni e soltanto dopo potranno caricarsi le spalle di un simile, pesante onore altrimenti lo si inflaziona. E le cose inflazionate, si sa, valgono poco.
Molto poco…

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