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Boxe&Dintorni

La fotografia di Natale e fine d'anno del pugilato italiano

VecchieFoto

 di Gualtiero Becchetti

Le fotografie natalizie e di fine d'anno sono una tradizione.

S'avvicinano le elezioni Fpi 2021 e le Olimpiadi di Tokio pure!

UrnaElezioni

di Gualtiero Becchetti

Le elezioni Fpi 2021 del prossimo Febbraio, condizionate dalla pandemia e da restrizioni e timori che purtroppo non favoriranno la partecipazione diretta ed attiva della gente, si stanno avvicinando ed entro il corrente mese di Novembre sarà ufficializzato il giorno di effettuzione dell'Assemblea Nazionale dopodiché, quaranta giorni prima della data fatidica, scadrà il termine ultimo per la presentazione delle candidature.
Tali elezioni saranno come sempre lo specchio in miniatura ma fedele dell’Italia: una sorta di “mercatino” dove si potrà trovare il meglio e il peggio dell’ambiente pugilistico. L’appuntamento é importante e da esso dipenderà il destino della Noble Art verde-bianco-rossa dei prossimi anni, le sue possibilità di riscossa o di definitivo tramonto perché non c'è ormai più tempo per cincischiare e "cazzeggiare".
Però, nel momento in cui milioni di famiglie sono finite sulle soglie della povertà e anche oltre, tutto andrebbe riportato nei giusti limiti e sarebbe opportuno viverle con misura, serenità e spirito di servizio.
Invece temo che non sarà così...Come da tradizione!
Ciò che ad ogni quadriennio sconcerta maggiormente sono gli atteggiamenti omertosi o il saltabeccare su varie sponde di molti esponenti del popolo della boxe, quasi non fosse composto da tranquille persone chiamate a decidere chi e in che modo dovrà governare una disciplina sportiva negli anni successivi ma da agenti segreti ai tempi del Muro di Berlino a cui ne va della loro stessa sopravvivenza.
Non si "espongono" per timore di ritorsioni; non si schierano per paura di chissà quali vendette…
Ma stiamo scherzando?
Pare di trovarsi nel bel mezzo di una pellicola di "007"!
Viviamo forse in un Paese dove la libertà é ormai così fragile da obbligare a nascondere la propria opinione persino su questioni sportive che purtroppo interessano ormai solo una sparuta "nicchia" di appassionati? O ci si sta adeguando alla nostra classe politica? Ad un lockdown più morale che fisico, il quale sta facendo "polpette" del corpo e dell'anima della società?
Per non parlare di coloro che ad ogni elezione vivono il loro momento di minuscolo potere e di microscopica gloria nelle vesti di raccoglitori di deleghe (ma non sarebbe ora di abolirle?) e in “testimoni di Geova” della parte preferita. Il colmo si ha soprattutto quando essi fanno parte di quelli prescelti da tutti gli affiliati delle rispettive regioni. Come se un arbitro che dovrebbe rappresentare e tutelare ogni squadra indossasse la maglia di una delle due compagini in campo per dirigere la partita. Non sembra il modo migliore per far sì che domani, quando gli “arbitri” rientreranno nei propri ruoli istituzionali, le rivalità e i malumori che da decenni minano le basi del pugilato italiano siano dimenticati. E’ una questione di buon gusto innanzitutto, poi di consapevolezza del proprio ruolo “super partes” e infine di lungimiranza politica.
Insomma, tra le tante cose che bisognerebbe auspicare nel futuro del pugilato italiano c’è pure il diritto della gente ad esprimere i propri convincimenti su qualcosa o qualcuno da cui non dipende né il futuro dell’umanità e neppure di un condominio senza guardarsi alle spalle come un leprotto inseguito da una muta di cani e di essere amministrata da dirigenti neutrali negli atti (se non nel cuore, com’è logico…), perché non sarebbe loro compito giocare ai Guelfi e ai Ghibellini.
Comunque, sarà quel che sarà…
Ormai Tokio 2021 é vicina e alle Olimpiadi la misurazione della febbre del pugilato italiano sarà nel bene o nel male incontestabile.
Per giovare al livello e alla credibilità della boxe ci sono comunque da correggere tante note stonate non sempre imputabili ai pugili, alle palestre, ai ring, ma incancrenite nell'animo di tanti. Dal primo all’ultimo degli affiliati, dal meno importante al più importante.
O il popolo della boxe riesce a migliorare se stesso o non potrà migliorare il resto.
E’ una legge non scritta ma della quale ogni persona dotata di cervello è consapevole.
Speriamo bene…

Il pugile che non ha coraggio perde. Come ogni essere umano...

UrloDiMunchdi Gualtiero Becchetti

Ragazzino debuttante o campione affermato, non c'é pugile che s'appresti a salire sul ring a cui il cuore non batta forte-forte. Paura? Probabilmente sì. Non é paura? Allora chiamiamola stress, emozione o come altro preferiamo ma la sostanza è sempre la stessa: battersi con un avversario é un evento difficile, rischioso, ricolmo di ansie evidenti e nascoste.
Lo sanno i maestri. E in quel "confessionale" che é lo spogliatoio prima di un combattimento, ciascuno a modo suo e a seconda del pugile che ha dinanzi a sè, ogni tecnico ha come obiettivo principale la traquillità dell'atleta e dell'uomo. Che lo persegua avvolgendolo nel più assoluto silenzio o in un mare di parole o facendolo parlare a ruota libera, poco importa. Fondamentale é fargli scavalcare le corde con le ansie ridotte, per quanto possibile, al minimo. Tutti, ma proprio tutti sono consapevoli, in qualsiasi disciplina sportiva ma anche nella vita quotidiana, come la paura che s'avvinghia al cuore e al cervello manipoli tutto, faccia scendere la nebbia dinanzi agli occhi e conduca al disastro. Al suono del gong può spingere l'atleta alla folle aggressività di chi é disperato o all'arrendevole atteggiamento di colui che é già rassegnato alla resa.
"La prima qualità di un pugile?-Mi disse tanti anni fa un vero campione-Il coraggio! Sì, perché se non hai coraggio sul ring perdi la testa, dimentichi tutto ciò che sai fare e puoi essere il più bravo del mondo il palestra, ma lì diventi in un minuto il più scarso!...".
Pure io, che non sono né un tecnico né un pugile ma un professore di scuola, conosco bene come sia quasi identica la condizone di uno studente che deve sostenere un esame importante. E allora le parole dell'insegnante sono volte a rasserenarlo, a mantenerlo concentrato ma con ottimismo, a schiarire i nuvoloni neri che incombono dentro di lui...
Ecco. Se lo sport e il pugilato in particolare insegnano tanto, questo é il momento di ricordarlo e di diffonderne il messaggio.
Tutti noi italiani ci troviamo oggi su un ring senza corde, senza arbitro e con regole gettate alla rinfusa.
L'avversario é insidioso, ma niente é imbattibile in questo mondo. Neppure lui...
Su la guardia, ricordiamo gli insegnamenti del maestro, usiamo la tecnica e conserviamo il cervello saldo e pronto.
Basta con la paura. O lui vincerà.
Non ho mai visto combattere un pugile rassegnato né uno studente spaventato sostenere un esame superando brillantemente le rispettive prove.
Aveva ragione quel campione: "La prima qualità? Il coraggio...".

Il dilettante e il professionista: chi cede per primo?

PugiliDilettantidi Gualtiero Becchetti

 

Il pugilato dilettantistico è giustamente considerato una disciplina per (quasi) tutti, partendo comunque dal presupposto che ogni attività agonistica in cui sia contemplato il contatto fisico richiede di procedere con “piedi di piombo” per tutelare l’incolumità dei protagonisti e la boxe, fra tutte, è sempre stata ritenuta la disciplina di “contatto” per eccellenza.

Noi, appassionati o addetti ai lavori, abbiamo sempre tracciato quindi una demarcazione netta tra dilettantismo e professionismo, considerando il primo una specie di “surrogato” e/o un tirocinio nella prospettiva del secondo, per chi avesse in animo di tentare l’avventura. Ora sappiamo che ciò è cambiato e addirittura l’Aiba ha abolito il dilettantismo come l’avevamo sempre conosciuto, amato e promosso passando anche ore ed ore a convincere mamme, fidanzate, mogli, insegnanti di scuola e opinionisti dei modesti rischi insiti in tale attività e di quali valori educativi e formativi sia invece portatrice la boxe. Non è il luogo e il momento di rinfocolare polemiche e d’altro canto confesso che non sarei in grado di aggiungere nulla di nuovo all’argomento, nutrendo scarsissima fiducia per la rivoluzione Aiba a 180 gradi che a mio modestissimo giudizio ha inflitto, spalancando le porte dei Giochi Olimpici a tutti e tentando malamente la via dei "prize-fighter", un'ulteriore ferita sia al pugilato dilettantistico che a quello professionistico. Ciò di cui voglio ragionare invece è altro e non pretendo di fornire risposte certe, che non ho; si tratta solo di affidare l’argomento a chi ama la boxe e la segue in qualsiasi veste, da pugile a tecnico, da spettatore ad arbitro, da medico a commentatore. Insomma, “la butto lì”, come si dice…
Diamo per scontato che il dilettantismo “normale” sia molto meno duro del professionismo, sia per la durata dei match che per l’attrezzatura usata e per i diversi criteri di conduzione degli incontri da parte degli arbitri e degli “angoli”. In questo caso il pugilato “quasi per tutti” è un fatto pressoché assodato. Ma da tempo, dopo averlo conosciuto da dietro alle quinte, avere parlato lungamente con i pugili e i tecnici e alla luce anche di alcuni recenti risultati negativi raccolti dai nostri atleti d’élite, mi è sorto un insistente dubbio: siamo proprio sicuri che dilettantismo di alto livello (quello delle grandi competizioni internazionali, per intenderci) sia meno logorante del professionismo?
Qualsiasi atleta è fatto di fisicità e di testa e se uno dei due elementi cede, si trascina inevitabilmente dietro pure l’altro. Questa è l’osservazione dalla quale si deve partire.
Sappiamo bene che i dilettanti d’élite, almeno in Italia, cominciano a vivere da collegiali in età spesso molto precoce per arruolarsi poi spesso in qualche corpo armato dello Stato ed essere così sradicati dalla quotidianità tipica dei coetanei, cosa non da poco. I lunghissimi e frequenti periodi dei “ritiri” ad Assisi o in altre località con il tempo stancano, immalinconiscono e quello che è sopportabile a 16 anni lo diventa sempre meno da adulti, con moglie e figli a casa.
Per non parlare dei tornei in giro per l’Italia e per il mondo, tanto più difficili quanto più si è bravi. Gli sforzi precoci si pagano anche se si possiede tanto talento. Tralasciamo lo spaventoso impegno fisico, il fatto di avere perennemente la valigia in mano e le battaglie sostenute pure durante gli allenamenti, dove si deve comunque dimostrare sempre d’essere il n°1; pensiamo allo stress psicologico di salire e scendere dal ring a ritmi quasi frenetici, senza avere neppure il tempo di metabolizzare la vittoria che già si deve pensare a qualcuno che poche ore si parerà davanti per vincere, avendo spesso da litigare pure con la bilancia…E così per settimane, mesi, anni….Basta moltiplicare il numero delle riprese per il numero dei match disputati e si scopre che è praticamente impossibile che un professionista di livello appena discreto ne abbia sostenute altrettante, ma con una differenza sostanziale: tra un combattimento e l’altro il prof ha periodi più o meno lunghi di sosta, a casa sua e tra i suoi affetti, il tutto intervallato anche da impegni di comodo, mentre il dilettante d’élite apprende giorno per giorno chi affronterà ed è certo che chiunque si troverà dinanzi, non sarà né un mestierante né un rassegnato perdente, bensì un giovane che comunque ci “proverà” sino alla fine.
Io sono tra coloro i quali ritengono che in un atleta di qualsiasi disciplina ceda prima la testa dei muscoli e giurerei che numerosi ragazzi passati come meteore nell’Olimpo del dilettantismo e quindi scomparsi nel nulla, si siano proprio bruciati sul piano psicologico. L’elenco potrebbe essere lunghissimo e comprensivo di molti nomi di ragazzi che nel dilettantismo d’élite si sono persi, talvolta anche in modo drammatico.
Ma è inutile rigirare il coltello nella ferita…
L’unica soluzione, a mio parere, sarebbe quella di consentire anche ai “big” di tirare il fiato, di ricaricare le pile, di rinvigorire la mente perché il corpo la segua. Probabilmente bisognerebbe rinunciare a qualche vittoria, a qualche passerella, a qualche vantaggio immediato, però qualcosa vorrà pur dire se tra i professionisti sono ancora alla ribalta campionissimi in età da “pantofole e telecomando”, mentre numerosi e ben più giovani dilettanti sembrano avere il fiato corto.
Credo che si dovrebbe progettare un dilettantismo d’élite diverso, con Nazionali organizzate in altra maniera, facendo proprio il principio che forse sarebbe saggio vincere un po’ meno e durare un po’ di più.
Se i muscoli cedono è relativamente facile rinvigorirli; molto più facile che non restaurare le crepe oscure della mente.
Ma i tecnici, i medici e gli psicologi (del pugilato in particolare) ne sanno tanto più di me e sarebbe interessante che si pronunciassero su questo dilemma: è più logorante il professionismo o il dilettantismo d’élite? A voi e a noi la risposta.

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