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Tennis: On est là

A Montecarlo, una settimana prima...

Si sapeva che il country club di Roquebrune non avrebbe offerto agli spettatori dell’incontro di coppa Davis Francia-Usa la stessa accoglienza del “suo” torneo di Montecarlo.-No, madame, perché l’evento non è organizzato da noi- fu la risposta alla mia richiesta telefonica se in quei tre giorni ci sarebbe stata la tariffa forfettaria per i parcheggi sotterranei al lungomare e la navetta gratuita come per il Master 1000;  i posti in superficie, infatti, sono tutti regolati dal parchimetro orario e il carro attrezzi della rimozione forzata è sempre in azione.

Non ero, però, pronta al deserto. Un accampamento militare nei film sulla guerra in Africa è l’immagine che mi suggerivano le  bianche tende  degli stand degli sponsor  chiuse o semiaperte su banconi o trame di ferro ancora vuoti: . Un sito in allestimento: forse  è questa la definizione più appropriata per ciò che vedevo, mentre la gente sciamava nei viali davanti a porte chiuse, anche delle tavole calde che da  ieri, inizio del torneo ATP, saranno sicuramente aperte: quella chiamata 3 set, più veloce, di sandwich, patatine e bibite, e la cinque set, un fornito e caro ristorante self service, con i monitor per seguire le partite e i tavolini riservati ai giudici di sedia. Due sole  postazioni mobili  di ristoro, invece, per “quelli della Davis” già in fila un’ora prima dell’incontro, per assicurarsi le poche baguettes esposte in mezzo a tante ciambelle ; mi congratulai con me stessa per la scelta di recarmi prima al paese in quella panetteria dal nome assurdo” Tutto per il tennis”, come se esistesse  per i fruitori di una sola settimana all’anno. Vuota anche la terrazza del ristorante che si affaccia sul campo centrale, con i tavoli solo all’interno, e leggendo l’Équipe di sabato avrei appreso che in una delle salette riservate avevano pranzato prima di mezzogiorno Amélie Mauresmo e Victoria Azarenka, celebrando l’inizio della loro collaborazione- Sono stata due ore ad osservarla in allenamento- confessa l’ex campionessa francese – ed è stano. Siamo diverse, eppure ho l’impressione di specchiarmi nella  sua volontà, nell’impegno, nel  desiderio di perfezione. Mi ritrovo nelle sue reazioni e nelle sue domande- Nello stesso tempo, trascorsi due anni dal ritiro, non ho più l’ego della giocatrice e posso essere lì solo per lei.-

Questo “esserci per l’altro”diventerà poi il motivo dominante di quei giorni,  la sensazione più viva che  ne ho riportato . Col passare dei minuti che mi separavano dall’inizio del primo match svaniva la delusione per il vuoto e l’assenza di tutto ciò che in fondo è il superfluo di una partita di tennis, anche per lo spettatore: niente villaggi degli sponsor,  ma neppure il via vai di camerieri che servono il pranzo sulla terrazza sopra i giocatori che sudano, disturbati dal vocio del clienti, dalle ordinazioni, dal rumore di piatti e posate, dallo stappare delle bottiglie: una struttura, invece, per la Davis, che ha offerto l’essenziale per concentrarsi solo sullo spettacolo sportivo..

A tutto c’è un limite, però, pensai un po’ stizzita quando, lasciata la terrazza  scesi  alle toilettes sotto il ristorante presso la piscina., di solito  a disposizione degli spettatori per i giorni del torneo. Il primo giorno, mezz’ora prima dell’inizio del match, io e una signora con la t- shirt blu della  squadra francese, ci aggiravamo sconsolate in quegli spazi lerci, aprendo le varie porte e rinchiudendole subito, alla ricerca  di un gabinetto pulito:Ci siamo guardate commentando all’unisono che tutto era ben diverso dalla settimana del torneo,-Mais enfin -concluse lei- On est là pour les garçons-(ma alla fine, siamo qui per i ragazzi). Per la cronaca, dopo qualche ora tornai in quelle toilettes le trovai pulitissime e gremite di gente in coda già sulle scale; ma ad un certo punto mi sentii chiamare e  captai sguardi incuriositi su di me: era l’inserviente che si ricordava di me dopo due anni che non andavo a Montecarlo. A Fathima, portoghese, avevo chiesto allora  notizie della sua collega di cui  avevo scritto qui, la madre del ragazzo disabile al quale i nuovi organizzatori avevano negato il pass di cui era sempre andato fiero. Camille era andata in pensione, e Fathma aveva preso il suo posto, con tante speranze che forse solo ora si stanno realizzando perchè mi presentò sua figlia: diciannovenne,  bella ragazza,  occhi scuri, vivaci  e ridenti come quelli della madre, felice di essere in Francia da tre settimane, e già organizzata con il lavoro, perché non solo si alterna con lei al club, ma fa la parrucchiera a domicilio..

Due donne portoghesi nel sottosuolo, e un giudice di sedia portoghese nel punto più alto del campo… dubito che si siano incontrati: “Loro”(i protagonisti, atleti, tecnici , giudici, ecc) non condividono neppure i servizi igienici con noi spettatori, siamo noi che condividiamo ogni emozione,o forse abbiamo l’illusione di farlo, mentre in quelle ore di gioco dimentichiamo noi stessi per farci riempire dai loro gesti, respirare con loro, trattenere il fiato, sognando forse  di aiutare la pallina a superare la rete  con il desiderio del nostro sguardo. Non credo che i tifosi francesi della squadra di Davis si pongano questi interrogativi: l’importante è esserci per il capitano e per i ragazzi

Occupano tutto un settore della tribuna J, quella con il sole alle spalle, dietro l’arbitro e la panchina dei giocatori; si dispongono per età, in alto i più giovani, e via a scalare fino alle più anziane, davanti, quelle che da tempo ho soprannominato le tricoteuses, come le battagliere donne della rivoluzione francese che partecipavano alle assemblee portandosi spesso il lavoro a maglia. Nelle prime tre file c’erano signore che avranno avuto anche più di settant’anni, con la loro divisa, maglietta blu con la scritta France sul petto e Don’t Forget the artists sulla schiena; le magliette sono uguali a quelle delle ragazze, ma i loro accessori sono unici: vecchi orologini da polso con il cinturino in oro, anelli di famiglia, d’oro anch’essi , o con pietre preziose, ma all’anulare, sopra la fede, c’era un anellino da bigiotteria, con le perline tricolori, come agli orecchini, e  il curioso gadget,  un supporto con tre grandi mani di plastica che, scosse, suonano come le nacchere spagnole. Era un tale spettacolo così divertente vedere queste  grandi mani agitarsi in quelle un po’ tremanti della più anziana delle tricoteuses  , che una bimba seduta davanti a lei dimenticò totalmente la partita per guardarla, sorridere, e poi stendere anche lei le braccia quando la signora le allungava invitando le altre a gridare “Tous ensemble, tous ensemble, ouais, ouais”( tutti insieme, sì.).

Di solito erano i giovani ad intonare i cori, ma le anziane avevano più sensibilità nell’avvertire i momenti in cui bisognava intervenire, perché i ragazzi si demoralizzavano prima, specie al secondo giorno, quando i fratelli Bryan fecero subito il break, si trasformarono in un muro a rete, che forse neppure i magici pallonetti di un Santoro in giornata sarebbero riusciti a superare, e invece si trovavano difronte un Lllodra timoroso e un Benneteau frastornato. Le tricoteuses erano consapevoli che il doppio era un’impresa quasi disperata, forse per questo, prima che cominciasse il match hanno intonato:- On est là, on est là, (siamo qui, siamo qui) qualunque sia il risultato…Anche il giorno successivo, nel singolare che ahimè per i francesi, Tsonga perderà, i l’invocazione a  JoWill finiva con  “ tes supporters sont là”. Davanti ad un Isner dominatore, come l’ha ben definito Jim Courier, e ai garçons francesi apparsi poco a loro agio su quella superficie, come se  facessero più fatica degli americani a dimenticare i rimbalzi del cemento, la macchia blu dei tifosi francesi in tribuna, composta più da donne che da uomini, mi sembrava più che mai un corpo femminile, materno, premuroso, il corpo in cui meglio incarniamo l’amore disinteressato, quello di chi ci accetta comunque, che non ci giudica, ma ci ama, ci accoglie nella sconfitta e nella vittoria.  Quell’amore che poi cerchiamo nell’amico e  nel/nella compagno/a  di  vita, pronti a dirci  nei momenti difficili  “ Sono qui, ti sto accanto, lo supereremo insieme”. Chi ci ama gioca d’anticipo, intuisce il dolore prima ancora che sia manifesto. Appena Tsonga a testa bassa si è avviato a stringere la mano a Isner, i supporter avevano già quasi dimenticato il proprio smacco e quello del giocatore, che dopo una settimana si sarebbe trovato di nuovo  qui, a ricominciare la sua vita nei tornei, ma un nome correva fra di loro, sussurrato,con timore,tenerezza, quasi a proteggerlo…”le capitain, le capitain”.Già, Forget, che (come dirà poi Patrick Dominguez ai microfoni della tv francese fuori dal country club) non voleva finire così i suoi 14 anni come capitano della squadra di Davis, e aveva supplicato la sera prima i suoi ragazzi di reagire, ricordando che erano stati loro a indicare quella superficie, credendo di poter contare su Monfils , mentre lui avrebbe scelto il veloce…”Dall’alba alla notte, siamo stati qui per te, Guy, grazie” gli cantavano in coro, e lui potè finalmente non trattenere le lacrime rivolgendosi a loro.

Ma le donne, e donne come queste poi, che da varie parti della Francia decidono di passare il week end di Pasqua al seguito di una squadra di tennis, non sono solo madri , ma anche eterne ragazze che amano divertirsi con i compagni di giochi, e non avrebbero potuto trovarne di migliori dei tifosi americani: diciamo che sembravano fatti gli uni per le altre. Saranno stati una decina, e tranne una ragazza,  tutti anziani. Il loro capo avrebbe potuto fare benissimo coppia fissa con le tricoteuses: morbidi capelli ondulati e barba bianca, sguardo blu e penetrante da vecchio pescatore, berretto e sciarpa a stelle e striscie. Il secondo giorno cominciò a familiarizzare con le francesi, ponendosi davanti a loro, inchinandosi come un direttore d’orchestra, sorridendo e ritmando United States. Ma alla domenica  furono le donne  a prendere l’iniziativa, a scendere qualche scalino, a chiamare il nuovo amico e ad invitarlo a scambiarsi le sciarpe e a farsi fotografare, e  poi  furono gli americani a fotografare il gruppo dei  francesi che, allacciati uno all’altro, poiché la domenica non ci fu l’esecuzione dell’inno, intonavano la Marsigliese.

Il giudice di sedia attese che finissero, li ringraziò e ricordò  che di lì a poco i loro ragazzi avrebbero avuto bisogno di loro…

Anch’io ringrazio ora le tricoteuses non solo per le emozioni che mi hanno dato, ma per quel momento alto di sportività per cui, alla vittoria di Isner su Tsonga hanno scandito United States, United States, così come era stato loro insegnato….ma gli uomini,  i tifosi americani , a sinistra, sulle tribune sotto di loro, presi a celebrare gli altri uomini,  saltavano, cantavano, non se ne sono accorti, non si sono più voltati.…

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